Il caso

Svizzera, è tempo di un nuovo manuale di «Difesa civile»?

Il conflitto in Ucraina e quello fra Israele e Hamas hanno riportato sotto i riflettori, complici le parole di un consigliere nazionale UDC, un libro pubblicato in piena Guerra Fredda – Ma le critiche, allora, furono parecchie
© CdT/Chiara Zocchetti
Marcello Pelizzari
22.03.2024 18:00

I tempi, si dirà, sono cambiati. Ma nemmeno troppo. Correva l'anno 1961: Albert Bachmann, dinanzi all'allora capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia, Ludwig von Moos, caldeggiò la pubblicazione di un manuale sulla «Difesa civile» della Svizzera. Un'istanza che, in piena Guerra Fredda, incontrò non pochi favori, sebbene il Consiglio federale decise di far distribuire a tutti i fuochi lo scritto soltanto nel settembre del 1967. Di più, le spedizioni vere e proprie iniziarono solo nel 1969, due anni più tardi. 

Un ritardo, questo, dovuto innanzitutto su una certa discordanza circa i messaggi da veicolare, come spiega l'Archivio storico svizzero. Il libro, in effetti, era un'emanazione della Confederazione ma era pubblicato da Miles-Verlag. La casa editrice con cui Bachmann – figura attiva nel Servizio d'informazione e controspionaggio che lo stesso archivio definisce controversa – intratteneva rapporti particolari. Fra gli autori, oltre al citato Bachmann, figurava pure il geografo e storico Georges Grosjean. Il testo definitivo fu il risultato di svariate versioni e sessioni di controllo. Alle quali presero parte due Commissioni e, a titolo volontario, molti collaboratori dell'Amministrazione federale. Il costo totale dell'operazione?  

Lo scopo del libro, leggiamo, era richiamare l'attenzione sulla difesa della Svizzera e sulle misure previste in caso di conflitto. Fra i temi trattati, scrive sempre l'Archivio storico svizzero, c'erano le conseguenze di un eventuale attacco atomico. Allo stesso tempo, il manuale promuoveva una sorta di «resistenza interiore», spirituale appunto, del Paese. Il tutto evitando il disfattismo. 

La copertina del libro. © Archivio storico svizzero
La copertina del libro. © Archivio storico svizzero

Il libro venne pesantemente criticato, a suo tempo. E per motivi diversi. Il consigliere federale Hans Schaffner, allora a capo del Dipartimento federale dell'economia, spinse per una rappresentazione più oggettiva. Non mancarono neppure gli interventi parlamentari, che chiedevano lumi a livello di scopi dell'iniziativa e finanziamento. Di più, l'impostazione stessa del manuale mal si conciliava con il risveglio politico-culturale passato alla storia come Sessantotto. La Società svizzera degli scrittori, al riguardo, criticò e non poco l'immagine che il libro dava degli intellettuali. Detto delle critiche, il libro era anche figlio del suo tempo. E di una Svizzera perennemente in stato di allerta a causa della Guerra Fredda, per tacere dei bunker e dei rifugi antiaerei che favorivano, a loro modo, questo clima da «resistenza interiore». 

Il perdurare della guerra in Ucraina e lo stallo in cui versa il conflitto a Gaza, a maggior ragione dopo il veto di Cina e Russia alla risoluzione statunitense per un cessate il fuoco, hanno fatto riaffiorare dagli angoli più remoti della memoria questo manuale. Nello specifico, il consigliere nazionale in quota UDC Benjamin Fischer non solo lo ha evocato, ma spinge affinché venga pubblicata una nuova edizione. «Oggi il potenziale di conflitto ha raggiunto i livelli del 1969» le sue parole, riprese fra gli altri dal Blick. «Questa soglia potrebbe essere già stata superata». E ancora: «Non si tratta di fare allarmismo, ma di sensibilizzare la popolazione». E questo perché, spiega l'esponente democentrista, dopo decenni di misure precauzionali «oggi nessuno prende sul serio le situazioni di emergenza».

Volendo venire incontro a Fischer, è vero che il manuale di «Difesa civile» dimostra gli anni che ha. Tutti. Oggi, infatti, le minacce sono aumentate e, soprattutto, comprendono disinformazione, attacchi cibernetici e informatici. «Ma il principio rimane lo stesso» volendo riprendere le parole, convinte, di Fischer. «Nessuno si è ancora reso conto di quanto sia reale il pericolo anche in Svizzera. Nessuno è pronto».

A far discutere, all'epoca, fu in particolare la rappresentazione del «nemico». In particolare perché, secondo il manuale, questo «nemico» poteva arrivare anche dall'interno. Tradotto: secondo i critici, in realtà, il libro più che stimolare la «resistenza interiore» puntava a mettere in cattiva luce, per non dire peggio, socialisti, comunisti e in generale oppositori dello Stato. Di qui l'ondata di indignazione. Che coinvolse anche il Consiglio federale, come detto, a immagine delle richieste di Schaffner. Fischer, riprendendo certe idee veicolate dal manuale, afferma che questo «pericolo interno» oggi è ancora presente. Il riferimento, la conclusione del consigliere nazionale, è all'eterogeneizzazione della società svizzera e alla crescente percentuale di stranieri.