Commercio

Una voce dà speranza alla Svizzera: «Intesa nelle prossime due settimane»

L'agenzia Bloomberg ha anticipato che la Confederazione «è vicina a ottenere una tariffa del 15% sulle sue esportazioni verso gli Stati Uniti» – Decisivo sarebbe stato il ruolo degli imprenditori elvetici presentatisi alla Casa Bianca la scorsa settimana – Ora proseguiranno i negoziati con i diretti diplomatici
©Manuel Balce Ceneta
Paolo Galli
Giona Carcano
10.11.2025 22:30

Dopo mesi di buio - pesto -, è tempo di schiarite. E oggi, addirittura, è avanzata l’ipotesi di un imminente accordo tra Svizzera e Stati Uniti per abbassare i dazi nei confronti dei prodotti elvetici dal 39% al 15%. Un risultato che, a un certo punto, sembrava lontanissimo, improbabile. Ma dove non è arrivata la politica, pare siano arrivati gli imprenditori. È questa, perlomeno, la lettura che molti stanno dando alla situazione. Una lettura sommaria e certamente incompleta. Ma è vero che, in tutti i casi, la recente trasferta degli imprenditori svizzeri a Washington sembra aver toccato le corde giuste. E oggi la suddetta situazione, per la nostra economia, sembra avere un futuro, sì, buone prospettive. E questo nonostante Donald Trump e la sua imprevedibilità.

«Nulla di definitivo»

Ogni giorno, il complesso puzzle che rappresenta il rapporto commerciale tra i due Paesi sembra guadagnare un tassello. E allora, quello di oggi è stato aggiunto dall’agenzia Bloomberg, che in serata ha scritto in maniera molto diretta che «la Svizzera è vicina a ottenere una tariffa del 15% sulle sue esportazioni verso gli Stati Uniti, il che rappresenterebbe un sollievo per il Paese dopo essere stato colpito da una tassa punitiva del 39% ad agosto». Ricordiamo tutti quel 1. agosto, il volto tirato di Karin Keller-Sutter, l’imbarazzo a mascherare lo sconforto, la frustrazione. Sono seguite varie altre tappe, altre trasferte, altri tentativi. Ma Trump sembrava ormai aver chiuso la porta a Berna, a quella presidente che - a suo dire - l’avrebbe persino umiliato in occasione del loro precedente colloquio telefonico. La Svizzera è diventata un caso unico, in Europa, ma certo non in senso positivo. E ora torniamo a Bloomberg, il quale suggerisce - citando fonti anonime «vicine alla questione» - che «un accordo potrebbe essere concluso entro le prossime due settimane». Le fonti avrebbero anche avvertito che «nulla è ancora definitivo e che i colloqui potrebbero ancora interrompersi», come accaduto durante gli incontri tra i negoziatori commerciali di Stati Uniti e Svizzera a fine luglio. Appunto, si torna all’imprevedibilità del presidente americano. Forse anche per questo motivo, le bocche restano cucite, a Berna. E persino la Casa Bianca ha rifiutato di commentare.

L’incontro con le aziende

Anche Bloomberg sottolinea la buona riuscita dell’incontro andato in scena la scorsa settimana a Washington tra gli imprenditori svizzeri e Trump. Da agosto in avanti, viene detto, «il Paese ha cercato di ottenere condizioni migliori. Uno sforzo che ha preso slancio la scorsa settimana quando un gruppo di miliardari e dirigenti aziendali svizzeri ha incontrato Donald Trump nello Studio Ovale». Erano presenti, è il caso di ricordarlo, vista l’importanza data oggi (e speriamo anche in futuro, a dipendenza di come andranno le prossime tappe negoziali) all’avvenimento, i dirigenti di sei aziende elvetiche, Rolex, MSC, Richemont, Mercuria, MKS Pamp e Partners GroupSi sono presentati carichi di regali e di buone promesse. E Trump ama essere corteggiato, in particolare quando di mezzo ci sono gli affari. Forse anche per questo, dove non arriva la politica, con lui è persino logico che intervenga l’economia. Dopo questo incontro, Trump ha dato un nuovo via libera alla diplomazia, «ordinando al rappresentante commerciale Jamieson Greer di intensificare i negoziati diretti, cosa che ha fatto con le controparti svizzere venerdì scorso», ricorda ancora Bloomberg. Greer ha parlato direttamente con il «ministro» dell’Economia, Guy Parmelin. Il quale si era limitato a definire «costruttivo» il dialogo avuto con Greer. E poi aveva aggiunto un particolare che, oggi, non sembra più così casuale. Aveva infatti sottolineato come «grazie al presidente Trump» si stava delineando una «nuova dinamica positiva».

Anticipare il WEF se possibile

«Un accordo segnerebbe il culmine di settimane di diplomazia a Washington da parte della principale diplomatica commerciale svizzera, Helene Budliger Artieda, combinate con l’offensiva di seduzione delle aziende svizzere». Un’azione congiunta, sì, che se condotta fino in fondo porterebbe la Svizzera sullo stesso livello dell’Unione europea. Molti possono essere ancora gli imprevisti, anche perché a capo del dossier - al di là della presenza più rassicurante di Greer - c’è comunque Howard Lutnick, il segretario al Commercio americano, spesso molto caustico nei confronti della Svizzera, da lui definita anche troppo ricca per la sua taglia. E poi bisognerà capire quale accordo verrà firmato, con quali condizioni. Questo è tutto da vedere. Ma certo, se il traguardo che sembrava fissato al WEF (19-23 gennaio) venisse anticipato di qualche settimana, l’economia e la politica svizzere potrebbero godersi un Natale più sereno.

«La contropartita potrebbe riguardare gli investimenti»

Forse, stavolta, ci siamo sul serio. Gli Stati Uniti potrebbero concedere un grosso «sconto» sui dazi alla Svizzera. «Si tratterebbe di raccogliere i risultati di uno sforzo congiunto del settore pubblico con quello privato fatto in questi mesi», spiega a questo proposito Edoardo Beretta, professore titolare presso la Facoltà di scienze economiche dell’USI. È chiaro: la «missione» di sei imprenditori svizzeri di primo livello, messa a segno la scorsa settimana direttamente nello Studio Ovale di Donald Trump, ha comunque avuto il suo peso. «Il presidente è un uomo d’affari, e dunque conosce bene quella lingua», commenta Beretta. «Ma, appunto, anche la parte politica della Confederazione ha giocato un ruolo importante». Al momento, evidentemente, si tratta di pure speculazioni. Nessun accordo è stato ancora firmato. Eppure, «anche gli USA hanno interesse ad avere un accesso conveniente ai beni ad alto valore aggiunto prodotti in Svizzera», prosegue il professore. Il quale ricorda il valore delle esportazioni elvetiche oltre Atlantico (circa 60 miliardi di franchi solamente lo scorso anno). «Un valore cresciuto di circa 20 miliardi di franchi in pochissimi anni. La domanda di beni svizzeri, dunque, è crescente». Ecco che allora, anche per non gravare troppo sui consumatori americani, si profila finalmente un’intesa sulla barriera doganale. Resta da capire quale sia la contropartita che la Confederazione ha messo sul piatto per ottenere lo «sconto». «A questo stadio siamo nel campo delle ipotesi», premette Beretta. «Ma posso pensare che si vada nella direzione di maggiori investimenti privati negli Stati Uniti. Mi auguro comunque che non si tratti di delocalizzazioni. Un’altra contropartita potrebbe riguardare l’accesso facilitato degli Stati Uniti ad alcuni beni e servizi svizzeri», magari anche nel campo della finanza. Impossibile, allo stato attuale delle cose, fare previsioni. E come dice ancora Beretta con ironia, «spesso il diavolo si nasconde nei dettagli». Ad ogni modo, conclude il professore, «trovo logico da parte USA uniformare i dazi fissati alla Svizzera a quelli dell’Unione europea».

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