Bally taglia ancora: in arrivo 30 licenziamenti

Altri trenta licenziamenti alla Bally di Caslano. Lo stesso numero di quelli annunciati lo scorso settembre e che si sommano al taglio alle spese pari a 65 posti di lavoro comunicato nel novembre 2024. Il marchio di moda, come noto, dall’anno scorso è controllato da un fondo di investimento statunitense, Regent LP, e per rispondere alla crisi ha deciso di ridurre ulteriormente il numero di dipendenti impiegati in Ticino.
Lo scorso anno erano state dapprima licenziate 32 persone nell’ambito amministrativo e 13 in fabbrica, a cui si erano aggiunte 55 riduzioni della percentuale lavorativa; lo scorso settembre erano stati soppressi 30 impieghi nel settore della produzione ed entro la fine dell’anno, ne ha dato notizia il mensile Il Malcantone, la misura riguarderà l’area uffici, dove sono attive circa 150 persone. Dal 2026 ne dovrebbero quindi rimanere 120.
«Siamo stati informati dell’apertura di una consultazione che ha portato a questi tagli», dice al Corriere del Ticino il vicesegretario regionale dell’OCST, Paolo Coppi. Il sindacato, va precisato, non ha rappresentanza nell’area uffici. La consultazione ha portato alla sottoscrizione di un piano sociale che prevede, oltre a quanto fissato dalla legge, un bonus pari a due mensilità per chi perderà l’impiego.
Negli scorsi mesi, lo ricordiamo, il fondo aveva rassicurato di voler continuare a puntare su un marchio svizzero. Ventisette persone rimangono attive nella produzione dell’extralusso a Caslano.
L’ultima tornata di licenziamenti risale come detto a tre mesi fa: in quell’occasione, il piano sociale per il licenziamento dei trenta dipendenti di Bally era stato firmato il 24 settembre. Le trattative tra il sindacato OCST e i vertici dell’azienda di moda con sede a Caslano avevano portato alla sottoscrizione di un accordo di natura finanziaria valido per un anno.
C’è preoccupazione
Come facilmente intuibile, dopo la notizia di questa nuova ristrutturazione filtra non poca preoccupazione, soprattutto sul fronte sindacale e dei lavoratori. «Le prospettive non sono delle migliori. Il settore del lusso è calato e rimane sempre l’incognita legata ai dazi USA», commenta Coppi.



