La sentenza

Condannati, ma solo in parte

Casa anziani di Sementina: colpa «medio grave» per i vertici per la gestione dell'istituto durante la prima ondata pandemica - Verosimilmente il verdetto verrà impugnato
© CdT/Gabriele Putzu
Alan Del Don
18.01.2023 10:00

Era attesa ed è arrivata, oggi. A due mesi scarsi dal processo e a quasi tre anni dai fatti. I vertici della casa anziani di Sementina, comparsi alla sbarra alla fine di novembre per non aver rispettato alcune disposizioni emanate dalle autorità superiori per arginare la diffusione del coronavirus durante la fase più acuta della pandemia, sono stati sì condannati, ma solo in parte. Questa la sentenza appena pronunciata dalla presidente della Pretura penale cittadina Elettra Orsetta Bernasconi Matti. Il reato che veniva rimproverato alla direttrice sanitaria, al direttore amministrativo e all’ex capocure era quello di contravvenzione alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano.

Si attendono le reazioni

All’istituto cittadino, a causa della COVID-19, erano morti 22 ospiti nella primavera 2020. Agli imputati è stata inflitta una multa, rispettivamente, di 1.500 franchi, 1.500 e 1.000 franchi. Facile immaginare che contro il verdetto le difese (rappresentate dagli avvocati Mario Postizzi, Luigi Mattei ed Edy Salmina) verosimilmente ricorreranno alla Corte di appello e di revisione penale di Locarno. Prima vogliono però leggere le motivazioni della sentenza. Soddisfatta parzialmente, invece, l’accusa, sostenuta dal procuratore generale Andrea Pagani e dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, nonché i familiari della vittima che, con la loro denuncia, hanno fatto partire l’inchiesta poi sfociata nel dibattimento.

Nelle prossime ore, inevitabilmente, la vicenda tornerà sotto i riflettori della politica della Turrita; il gruppo Lega-UDC ed il Movimento per il socialismo, ricordiamo, non avevano lesinato critiche al Municipio per come aveva gestito il delicato dossier. Sono attese altre interpellanze ed interrogazioni e non è affatto escluso che qualcuno chieda una discussione generale in occasione della seduta di Consiglio comunale in agenda il 27 febbraio.

Tra raccomandazioni e obbligatorietà

La presidente della Pretura ha iniziato facendo una premessa di contesto, ovvero al fatto che «occorre tornare al marzo 2020, alla situazione straordinaria a seguito del coronavirus. Il Governo ticinese aveva decretato lo Stato di necessità. E va puntualizzato che la casa anziani è un luogo di vita». Ha poi ricordato le accuse mosse agli imputati e gli atti e le risoluzioni del Consiglio di Stato e le disposizioni delle autorità superiori: «Sono raccomandazioni sui possibili provvedimenti da adottare. E sono prive di obbligatorietà. Le analisi di laboratorio erano solo raccomandate secondo criteri che venivano man mano aggiornati. I test erano da riservare prioritariamente ai casi più gravi. Non era proibito agli ospiti di muoversi liberamente nell’istituto e di consumare i pranzi in comune». In merito al distanziamento sociale degli anziani, gli accusati hanno sempre dichiarato di aver preso degli accorgimenti affinché fosse rispettato: «In concreto non è mai stato accertato se le distanze effettivamente non fossero rispettate. Le istruzioni e le raccomandazioni del medico cantonale e di Berna non possono essere considerate provvedimenti né le risoluzioni del Governo». Gli imputati sono dunque stati prosciolti dal primo punto contenuto nei decreti d’accusa.

La perizia non vale

Veniamo ora al divieto di accesso nelle case anziani, una misura di lotta contro la propagazione del virus. «Il medico cantonale è l’autorità in materia, la sua competenza si fonda sulla legge, senza che serva una delega particolare», ha affermato la giudice. Due parole, poi, in merito alla forma. Vero che la direttiva non è stata pubblicata sul Foglio ufficiale, ma «era conosciuta agli imputati. In ogni caso tali vizi non possono essere ritenuti così gravi da rendere nullo il provvedimento. Quindi esplicava tutti i suoi effetti. La perizia presentata dalle difese non può essere considerata. Non solo non valica il Gottardo, quindi, ma si ferma a Zurigo».

Le attività di gruppo

Attività di gruppo. I vertici dell’istituto hanno affermato che non erano socializzanti, ma terapeutiche-cognitive. Scopo della direttiva era quello di evitare tutti i contatti, «il fatto che gli imputati abbiano comunque ritenuto di offrire le attività di gruppo, ancorché rivalutate, è stata una violazione del provvedimento. L’imputazione va dunque confermata».

Eccoci ora al mancato allestimento della lista dei contatti. «Non essendo vincolante, gli accusati vanno dunque prosciolti», ha sottolineato la presidente della Pretura. In merito all’impiego dell’infermeria positiva al COVID, «la direttiva del medico cantonale è stata sì disattesa, non si hanno però accertamenti in merito o meno alla disponibilità di altri operatori sociosanitari. Altri collaboratori sono stati effettivamente contattati, ma vista la carenza di personale non c’era disponibilità. Tale problematica era comune a tutti gli istituti ticinesi ed il direttore amministrativo aveva avvisato il capodicastero. Gli imputati sono dunque prosciolti».

I pittori in casa anziani, infine. «Il direttore amministrativo ha autorizzato l’intervento, ben cosciente che non erano opere urgenti. Va dunque condannato. Anche la responsabilità della direttrice sanitaria è data. L’ex capocure è stata messa di fronte al fatto compiuto, a lei non può essere imputata nessuna responsabilità».

Vista l’intenzionalità la «vostra colpa, direttore e direttrice, è di media gravita. Avete agito sì nell’ottica di garantire il benessere degli ospiti. È stata una vicenda di sofferenza, di grande stress e dall’importante eco mediatica. Una multa di 1.500 franchi per voi e una di 1.000 franchi per l’ex capocure».

Cosa avevano detto le parti

Il processo era stato celebrato dal 23 al 25 novembre scorso nell’aula del Tribunale penale federale di Bellinzona, più grande di quella della Pretura. Tre lunghe giornate dibattimentali in cui non era sostanzialmente emerso nulla di nuovo rispetto a quanto già si sapeva. Le parti erano rimaste ancorate sulle loro posizioni. Da una parte l’accusa, per la quale gli imputati «avrebbero dovuto anteporre il bene collettivo a quello del singolo, invece hanno fatto di testa loro, applicando le disposizioni in modo blando». Il procuratore generale Andrea Pagani e la collega Pamela Pedretti avevano chiesto la condanna del terzetto al pagamento delle seguenti multe: 8.000 franchi per la direttrice sanitaria, 6.000 per il direttore amministrativo e 4.000 per la capocure, oggi non più alle dipendenze della Città.

Di tutt’altro avviso le difese, che si erano battute per il proscioglimento dei loro assistiti. «Non sono né eroi né irresponsabili: hanno fatto tutto quanto potevano», avevano sostenuto all’unisono gli avvocati Mario Postizzi, Luigi Mattei ed Edy Salmina. I legali non avevano risparmiato critiche all’accusa («nei decreti non è stato specificato ciò che viene rimproverato agli imputati») e avevano messo in dubbio la competenza, politica e legale, del medico cantonale di emanare delle direttive per contrastare la diffusione del coronavirus («il Consiglio di Stato, allora, ha abdicato al suo potere»). L’ultima parola, come da prassi, era spettata agli imputati, i quali si erano detti dispiaciuti per quanto successo e vicini alle famiglie che hanno perso un loro caro e agli operatori sanitari che, in quelle difficilissime settimane, avevano dimostrato «grande resilienza».

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