Due agenti a processo per la presunta aggressione all'ambulante

In attesa delle sentenza, per ora c’è un’unica certezza: ci sono voluti otto anni, ben tre procuratori pubblici (tra cui anche due procuratori generali) e due decreti di abbandono contestati dai tribunali per arrivare al processo a carico dei due agenti della Polizia di Lugano accusati di aver fermato malmenato un venditore di rose pachistano alla stazione FFS la mattina del 1. Agosto 2015.
Versioni discordanti
Le versioni su quanto accaduto quel giorno divergono. Stando al racconto dell’ambulante, patrocinato dall’avvocato Nadir Guglielmoni, i due poliziotti lo avrebbero fermato e portato negli spazi in uso alla Polizia all’interno della stazione, dove sarebbero volate botte e l’uomo avrebbe rimediato la perforazione di un timpano. L’ambulante aveva sporto denuncia, inizialmente contro ignoti, salvo poi riconoscere uno degli agenti qualche tempo dopo. Il Ministero pubblico aveva quindi aperto un procedimento nei confronti dei due poliziotti – un 42.enne ora in forza alla Malcantone Ovest e un 41.enne ancora in servizio a Lugano – ipotizzando i reati di sequestro, abuso di autorità e lesioni. Entrambi, patrocinati dagli avvocati Maria Galliani e Luca Gandolfi, hanno sempre negato ogni addebito.
Il procedimento penale era sfociato in un decreto di non luogo a procedere, firmato nel febbraio 2017 dall’allora procuratore generale John Noseda e annullato sei mesi dopo dalla Corte dei reclami penali (CRP). Un anno dopo, il 22 febbraio 2018, il procuratore pubblico Antonio Perugini (subentrato nell’inchiesta al partente Noseda) aveva emanato un decreto di abbandono, questa volta confermato dalla CRP ma non dal Tribunale federale. Il 28 gennaio 2020 l’Alta Corte aveva infatti intimato al Ministero pubblico di riaprire il caso. In particolare, il TF ha fatto presente che dagli accertamenti (geolocalizzazione) risulta «che il veicolo di servizio in dotazione quel giorno agli imputati era rimasto fermo sul parcheggio verso il lato nord della stazione FFS (almeno) dalle ore 8.30 alle ore 8.33». Ma se per la Magistratura e la CRP questo fatto era «irrilevante» siccome la presunta vittima aveva affermato di essere stata aggredita attorno alle 9, per i giudici di Mon Repos «la discrepanza tra l’ora indicata dal ricorrente e quella relativa allo stazionamento del veicolo di servizio nelle immediate vicinanze del luogo in cui si sarebbero svolti i fatti non basta a fugare i dubbi sull’eventualità che un reato possa essere stato commesso in un arco temporale precedente».
Dopo la decisione del TF, il 15 febbraio 2022 il procuratore generale Andrea Pagani aveva emanato due decreti d’accusa: al 42.enne sono contestati i reati di abuso di autorità e lesioni semplici per aver colpito l’ambulante con calci in schiena e due schiaffi in testa, uno dei quali avrebbe provocato la rottura del timpano (la pena proposta è di 90 aliquote giornaliere da 150 franchi sospese per due anni e una multa di 2 mila franchi), mentre il 41.enne è accusato di abuso di autorità in quanto anche lui avrebbe sferrato dei calci alla schiena della vittima (la pena proposta è di 30 aliquote da 140 franchi sospese per 2 anni e una multa di 800 franchi). Non essendoci altre prove, come per esempio filmati della videosorveglianza, il processo in Pretura penale davanti al giudice Simone Quattropani è indiziario e tutto dipenderà dalla credibilità delle versioni della presunta vittima e degli agenti.
Questi ultimi hanno fermamente negato i fatti contestatigli. «Non ricordiamo di essere transitati dalla stazione, però è un luogo dal quale si passa spesso», hanno affermato durante l’interrogatorio. Il 41.enne – che a causa della procedura in corso è stato promosso di grado con un anno di ritardo, con un altro avanzamento ancora congelato – ha ipotizzato che la denuncia fosse stata fatta per soldi. «Dopo la denuncia, quando lo incontravo in città spesso mi diceva che non gli avevo fatto niente e mi chiedeva del denaro». L’ex collega 42.enne ha dal canto suo ricordato si essere stato seguito e filmato dall’ambulante mentre si trovava in città fuori servizio, sempre nel 2017. «Avevo chiamato la Polizia», ha ricordato. Secondo la vittima, lui lo avrebbe schiaffeggiato (fatto negato dal 42.enne).
Di tutt’altro avviso la presunta vittima, interrogata da Quattropani con l’aiuto di un interprete. «Quel giorno stavo tornando a casa, in Italia. Erano le 7.49. I poliziotti mi hanno portato nello stanzino e hanno incominciato a picchiarmi per 40 minuti, uno da davanti e l’altro da dietro. Mi hanno anche rotto il naso e c’era del sangue sul pavimento che mi hanno fatto ripulire»». L’ambulante ha identificato nei due imputati gli autori della (presunta) aggressione, che sarebbe durata 40 minuti. Nel racconto sono emerse alcune discrepanze rispetto a quanto dichiarato in sede d’inchiesta: interrogato sul fatto se avesse già visto il poliziotto 41.enne prima del pestaggio, l’ambulante ha risposto di no, ma agli atti risulta un fermo effettuato proprio dall’agente in questione (e da un altro collega) tre mesi prima. «È successo otto anni fa, probabilmente non si ricordava», ha argomentato Pagani. Interpellato da Gandolfi sul perchè non avesse denunciato il giorno stesso dell’aggressione, l’ambulante ha affermato che «quando ti picchia una persona normale vai dalla polizia, ma se ti picchia la polizia a chi denunci?».
Chi è credibile?
Come detto, centrale in questo dibattimento è stabilire quale delle due versioni sia credibile. Il racconto della vittima lo è, ha argomentato Pagani: «Dagli accertamenti è possibile ricostruire che «l’automobile di servizio dei due imputati era ferma presso la stazione, da un orario imprecisato fino alle 8.33, quando si è rimessa in moto. Entrambi hanno sottaciuto il motivo per il quale si trovavano lì. E questo ne mina la credibilità». «Questa è stata una ricerca della verità molto tribolata», ha chiosato Guglielmoni. «Si è dovuti arrivare fino al TF per ottenere un’inchiesta approfondita, a fronte di un tentativo di sviare le indagini da parte della Polizia di Lugano. Inizialmente aveva detto che non risultavano controlli in stazione, poi la geolocalizzazione ha collocato il veicolo degli imputati sul posto. Sì, non c’è una prova diretta di quanto accaduto quel giorno in stazione, ma sono convinto che sia possibile dire al di là di ogni ragionevole dubbio che un’aggressione c’è stata. E il mio assistito ha fatto di tutto per dimostrarlo. Come ha fatto a descrivere il locale della polizia della stazione se non vi era mai stato?».
«L’unica logica conclusione è che agli atti non ci sono elementi a sostegno della tesi di un selvaggio pestaggio», ha invece argomentato Galliani nel chiedere l’assoluzione del suo assistito. «Le dichiarazioni della presunta vittima hanno avuto diverse evoluzioni: Prima ha affermato che i fatti erano avvenuti verso le 9, ma dagli accertamenti è emerso che la vettura era in movimento dalle 8.33, quindi i fatti non potevano essere avvenuti in quell’ora. Dal secondo verbale in poi le sue dichiarazioni diventano più vaghe; la durata dell’aggressione viene quantificata in 40 minuti, un lasso di tempo che si incastra perfettamente tra l’ora del prelievo (7.49) e di partenza dei veicolo della polizia (8.33)». Insomma, l’ambulante avrebbe adattato le sue dichiarazioni «in base a quanto emergeva dall’inchiesta. Infine, la vittima «ha inizialmente indicato che durante l’aggressione il 42.enne era dietro di lui e il 41.enne davanti, oggi ha cambiato versione. Le sue dichiarazioni non sono né lineari, né costanti, né logiche». Ad oggi, ha rincarato Gandolfi, «non abbiamo elementi fattuali per stabile che cosa sia successo tra le 7.49 e le 8.33. Dopo l’inchiesta, la domanda iniziale è rimasta senza risposta e non si è fatto alcun passo avanti. Ogni elemento del decreto d’accusa è unilaterale e non poggia su alcun indizio certo».
La sentenza verrà pronunciata il prossimo 15 novembre.


