L'intervista

Gobbi sulle critiche dei Comuni: «Alcune narrazioni fatichiamo a comprenderle»

Il consigliere di Stato: «I Comuni comprendano che senza una vera e propria struttura politica e amministrativa di supporto condiviso, sarà difficile avere una collaborazione reale tra i due livelli istituzionali»
© CdT/Gabriele Putzu

I sindaci dei cinque centri urbani, nell’ambito del riversamento degli oneri sociali, non hanno lesinato critiche nei confronti del Cantone. Un tema sollevato anche nelle rispettive presentazioni dei Preventivi. Ne abbiamo parlato con il consigliere di Stato Norman Gobbi.

Questione preventivi, i sindaci dei centri urbani si sono lamentati dei riversamenti. Cosa ne pensa della critica?
«Faccio un po’ fatica a comprenderla. Anche perché, analizzando il Preventivo 26 l’insieme del “dare avere” è a favore dei Comuni. Una delle maggiori voci che viene criticata, ad onor del vero, è una voce in evoluzione che pesa sia sui Comuni sia sul Cantone».

Si parla dell’ambito socioassistenziale e di quello in particolare degli anziani.
«È una voce, come detto, che evolve in maniera negativa sia per i Comuni che per il Cantone ed è la conseguenza dell’invecchiamento della nostra popolazione e dei nuovi bisogni che ne derivano. Per quel che concerne il Preventivo 26 abbiamo cercato di garantire un certo equilibrio, ben consapevoli che tra i 100 comuni c’è ovviamente una differenza, ma nel computo totale, in previsione, ci sarà un’evoluzione positiva».

Nell’esporre le preoccupazioni, alcuni sindaci hanno utilizzato termini, diciamo così, un po’ forti. A Lugano si è parlato di rapina, a Bellinzona di assalto alla diligenza.
«Riconosciamo che ci sono problemi strutturali nei rapporti tra Cantone e Comuni e, ben inteso, è il gioco dei ruoli esprimere il proprio disappunto. Bellinzona, ricordo, nell’ambito del preventivo 2026 ha un saldo positivo. Per quel che riguarda Lugano e Mendrisio, invece, pur con delle differenze ci può stare. Ad ogni modo il Cantone è presente e sostiene i Comuni e le città in modi diversi, spesso meno evidenti, come per esempio quando si tratta di fare investimenti a favore della comunità. Se penso a Bellinzona, posso citare il sostegno dato nell’ambito della delocalizzazione delle Officine o il Progetto Fortezza. Per Lugano si possono citare varie iniziative locali che hanno visto il Cantone dare il proprio contributo, anche di riordino viario. A voler guarda bene se c’è un Comune che avrebbe potuto reclamare e non l’ha fatto quello è Paradiso. Risulta essere il più penalizzato nel computo “dare avere”».

Riconosciamo i problemi nei rapporti tra Cantone e Comuni, è il gioco dei ruoli esprimere disappunto

I Comuni parlano anche di margini di manovra sempre più ridotti. Come si risolve?
«Nell’ambito di Ticino 2020 i Comuni da un anno e mezzo ci hanno promesso una comunicazione nella quale avrebbero dovuto essere evidenziati gli ambiti di competenza nei quali vorrebbero recuperare i citati margini di manovra. Ad oggi però, come consiglio di Stato, non abbiamo ricevuto ancora niente e questa è una delle ragioni per cui il progetto è in stallo».

I sindaci dei centri urbani, anche in una recente missiva, chiedono che si possa dialogare.
«Il dialogo noi vogliamo garantirlo e anche strutturarlo. Figura tra gli obiettivi che abbiamo lanciato il 10 settembre a Locarno durante l’incontro con tutti i sindaci. Serve però, appunto, che vi sia una nuova struttura perché l’attuale Piattaforma di dialogo Cantone-Comuni ha raggiunto i suoi limiti. Per quanto ci riguarda, vi sono certamente i cinque centri urbani, ma dobbiamo considerare anche gli altri Comuni. A tal proposito a breve terremo un incontro con le cinque città, l’Associazione dei Comuni Ticinesi (ACT) e l’Ente regionale di sviluppo del Luganese. L’auspicio mio e del Governo è che i Comuni comprendano che senza una vera e propria struttura politica e amministrativa di supporto condiviso, sul modello di quanto fatto oltre trent’anni fa dai governi cantonali verso la Confederazione, sarà difficile avere una collaborazione reale tra i due livelli istituzionali, in modo particolare in un periodo storico dove per essere resilienti occorre saper agire con la giusta tempestività, non in reazione, ma neppure con i tempi lunghi della politica ticinese».

Gli enti locali: «Occorre più rispetto istituzionale»

A essere critico nei confronti del Cantone, negli ultimi mesi e anni, è stato anche il presidente dell’Associazione Comuni ticinesi (ACT), Felice Dafond. Il quale, anche durante l’ultima assemblea tenutasi a ottobre, si è detto parecchio preoccupato per il futuro delle relazioni tra i due livelli istituzionali. In particolare alla luce delle difficoltà finanziarie del Cantone e del fatto che la politica fa fatica ad affrontare riforme strutturali: «La questione dei rapporti di competenze tra Cantone e Comuni, e dei flussi finanziari, è urgente – ha affermato durante l’assemblea – perché di questo passo il Cantone trascinerà con sé verso il baratro anche i Comuni». Ma non solo. Guardando al quadro generale, Dafond ha pure sottolineato che «i Comuni dovranno valutare con più attenzione come difendersi, utilizzando con maggiore intensità gli strumenti legislativi e politici a disposizione, quali ad esempio l’iniziativa legislativa o il diritto di referendum». Come dire: gli Enti locali non dovranno restare passivi di fronte alla situazione. E dovranno reagire con maggiore determinazione. Da noi raggiunto per un commento, Dafond (come fatto pure da Gobbi nell’intervista qui sopra), evidenzia che «sì, la Piattaforma di dialogo tra Cantone e Comuni dovrà cambiare». Perché, «così come è strutturata non soddisfa nessuno». Sul «come» dovrebbe cambiare, però, Dafond non si sbilancia. «È una questione complessa. Noi abbiamo formulato per il momento delle proposte, ma esse sono ancora in fase di discussione e approfondimenti. Ciò che è certo è che servono nuove modalità di dialogo e maggiore rispetto istituzionale». E sulle proposte – citate da Gobbi nell’intervista – di ambiti in cui i Comuni vogliono recuperare competenze? Arriveranno queste proposte dai Comuni? Dafond risponde: «Stiamo facendo (e abbiamo già fatto in passato) questo esercizio, ma poi quando presentiamo proposte concrete, nei vari dipartimenti, ci rispondono sempre ‘no’. La realtà è che è il Cantone a non voler mai cambiare nulla». In questo contesto – e con i già citati 700 milioni di disavanzo per il Cantone che si stagliano all’orizzonte – il presidente dell’ACT auspica un cambiamento di rotta: «Il Cantone dovrà decidere in che direzione andare, con riforme strutturali e non piccoli risparmi. Continuano ad assumere nuove competenze e a controllare tutto quanto fanno i Comuni, ma non hanno le risorse per farlo». Nel nostro sistema federale, chiosa Dafond, purtroppo assistiamo sempre più a un «effetto aspiratore» di competenze: «C’è chi vorrebbe tutto risolto a Bellinzona o a Berna. Ma allora che cosa ci stanno a fare i Comuni?».