Il caso

I driver di Divoora scrivono all’azienda

Alcuni dipendenti hanno mandato una lettera aperta ai vertici: «Siamo delusi e e chiediamo rispetto»
Paolo Gianinazzi
18.01.2022 06:00

Prosegue, dopo la manifestazione andata in scena a Lugano poco prima di Natale, la vertenza che vede contrapporsi alcuni «driver» di Divoora e l’azienda stessa. Una parte dei dipendenti, firmandosi «collettivo drivers/riders Divoora», ha infatti deciso di scrivere una lettera aperta all’azienda, chiedendo che le rivendicazioni fatte durante lo sciopero non siano sminuite, bensì prese sul serio.

«Il 23 dicembre - si legge nella missiva, consultabile integralmente in fondo all’articolo - siamo scesi in piazza per protestare contro la decisione da parte dell’azienda di non accettare la nostra richiesta di un giusto riconoscimento del salario per tutto il tempo nel quale siamo a disposizione durante i turni di lavoro. Dopo la nostra azione, Divoora ha dichiarato che non avrebbe accettato alcun ultimatum da parte dei lavoratori e dei sindacati. Purtroppo, però, ha omesso di dire che la trattativa è iniziata a causa di una modifica contrattuale senza regolare disdetta con l’ultimatum (quello davvero tale) con il quale ci hanno intimato di firmare un nuovo contratto da un giorno all’altro con un salario di 0,35 franchi al minuto e senza riconoscimento dei tempi di attesa».

Fatta questa premessa, il collettivo rimarca che «la narrazione del lavoretto secondario» dietro cui si «barrica l’azienda» non regge: «Con il nostro salario manteniamo le nostre famiglie, paghiamo le bollette, facciamo la benzina ai nostri mezzi per poter lavorare», si legge nella lettera in cui chiedono poi «rispetto per il lavoro svolto e un contratto dignitoso che permetta di vivere e non solo di sopravvivere». Insomma, i driver si dicono delusi dalla risposta dell’azienda che «non ha risposto a nessuno dei punti salienti della denuncia», e chiedono che le loro richieste siano prese in considerazione per tornare al tavolo delle trattative.

Delusione viene espressa pure sul fronte sindacale. Diana Camenzind, vicesegretaria per il Sopraceneri di OCST, spiega infatti che «i dipendenti, leggendo la risposta via comunicato dell’azienda, si sono sentiti ignorati. Hanno voluto sminuire l’azione e le richieste dei dipendenti e questo ha scatenato in loro amarezza e rabbia. Ecco perché hanno deciso di rivolgersi direttamente all’azienda, per chiedere di essere presi sul serio e una ripresa delle trattative celere e concreta». Dal canto suo, pure il segretario cantonale di UNIA Giangiorgio Gargantini rimarca che «l’unica risposta da parte dell’azienda è stata quella di sminuire l’azione dei dipendenti. Sono state poste domande precise a cui non è stata data risposta. Perché, ad esempio, in altri cantoni dove è attiva Divoora i dipendenti vengono pagati correttamente, mentre in Ticino ciò non è possibile?».

La lettera aperta del collettivo

Il 23 dicembre scorso noi dipendenti Divoora siamo scesi in piazza per protestare contro la decisione da parte dell’azienda di non accettare la nostra richiesta di un giusto riconoscimento del salario per tutto il tempo nel quale siamo a disposizione durante i turni di lavoro. Dopo la nostra azione, Divoora ha dichiarato che non avrebbe accettato alcun ultimatum da parte dei lavoratori e dei sindacati. Purtroppo però l’azienda ha omesso di dire che se la trattativa tra le parti è iniziata nel mese di novembre, è a causa di una modifica contrattuale senza regolare disdetta con l’ultimatum (quello davvero tale) con il quale ci hanno intimato di firmare un nuovo contratto da un giorno all’altro con un salario di Fr. 0,35 al minuto e senza riconoscimento dei tempi di attesa. In questo tempo ciò che noi abbiamo sempre chiesto era che la base di partenza per una trattativa fosse il riconoscimento del nostro lavoro e della nostra dignità. Ma questo ci è stato negato. Vale la pena ricordare quanto il nostro lavoro sia essenziale e quanto nel corso del tempo abbiamo assunto un ruolo sociale importante, fornendo un servizio, ad esempio, a chi è impossibilitato a muoversi di casa a causa della pandemia o a chi ha problemi motori o di altro genere. Nonostante questo, ci sono venute a mancare da un momento all’altro quelle condizioni alla base dello standard minimo di dignità.

L’azienda si barrica ancora dietro la narrazione del lavoretto secondario, fatto da qualche studente per arrotondare. Non tiene in considerazione, invece, che noi con il nostro salario manteniamo le nostre famiglie, ci paghiamo le bollette, facciamo la benzina ai nostri mezzi di trasporto per poter lavorare (visto che non siamo neppure rimborsati correttamente per l’utilizzo dei nostri veicoli). Il nostro è un lavoro e come tale deve essere considerato e remunerato, perché le nostre ore e il nostro tempo valgono quanto quelle di tutti gli altri. La necessità di un salario è una necessità di tutti e non è umanamente accettabile che per raggiungere un minimo salariale che possa permettere di arrivare alla fine del mese si debba lavorare e stare fuori casa per 14 ore di fila, rinunciando del tutto alla propria vita, per vedersene pagate la metà. Noi entriamo in servizio con la divisa e attendiamo in strada o nei parcheggi l’arrivo dell’ordine, ma fino a quel momento l’azienda ci considera come se potessimo godere di tempo libero.

L’indisponibilità di Divoora rispetto alle nostre richieste ha fatto sì che la maggior parte di noi abbia trascorso un infelice Natale. Immaginate la nostra grande delusione quando nel bel mezzo di una vertenza sindacale, l’azienda ha organizzato una bella cena aziendale natalizia solo con il personale amministrativo (con tanto di foto patinate sui social) mentre noi eravamo in giro a fare consegne senza nemmeno essere pagati per tutto il tempo di lavoro. Non abbiamo ricevuto nemmeno un messaggio di auguri.

Siamo lavoratori e lavoratrici, siamo persone, non numeri. E per essere ascoltati siamo scesi in piazza, anche se per difendere i nostri diritti abbiamo dovuto coprire i nostri volti con delle maschere, e non per codardia, ma solo per paura di possibili rappresaglie. L’azienda ci ha tenuto a uscire pubblicamente sminuendo la portata dell’azione. A nessuno è venuto il dubbio che i lavoratori e le lavoratrici presenti in foto fossero solo una rappresentanza di prima linea, rispetto a tutti coloro che sono rimasti indietro e che con l’adesione all’azione hanno mandato in tilt i servizi in tutti i distretti ticinesi. Divoora, però, non ha risposto a nessuno dei punti salienti della nostra denuncia: niente è stato detto in merito all’acquisto di scooter aziendali per assumere personale frontaliero e pagarlo Fr. 4 all’ora nei tempi di attesa e niente è stato detto in merito al fatto che in altri cantoni in cui Divoora sta esportando il suo business, i dipendenti vengono pagati correttamente per tutto il tempo di lavoro. Noi siamo lavoratrici e lavoratori e seri, professionali ed onesti e chiediamo rispetto per il lavoro svolto e un contratto dignitoso che ci permetta di vivere e non solo di sopravvivere.

Abbiamo intrapreso una lotta sindacale nella quale ci siamo scoperti uniti perché ci siamo sentiti parte di qualcosa di bello che vorremmo mantenere. Tutti noi vogliamo il bene dell’azienda e vogliamo offrire un servizio eccellente, ma il sistema attualmente in vigore non funziona: fa male a noi drivers/riders e fa male all’azienda. Se davvero l’azienda è rammaricata del fatto che le trattative con i sindacati si sono interrotte, come dichiarato pubblicamente, perché fino ad oggi non ci ha inviato nessuna comunicazione? Non siamo degni di nessuna attenzione da parte di Divoora? Siamo delle persone: vogliamo che l’azienda si prenda del tempo per conoscerci ed ascoltarci. E mentre l’azienda resta silente il nostro lavoro continua ad essere sfruttato.

Il collettivo drivers/riders Divoora