«Il futuro di Lugano-Agno? Non dipende da noi, ma dalla politica»

A fine ottobre, dopo otto anni, lascerà l’incarico. «Non so ancora che cosa farò», dice. Aggiungendo che, in ogni caso, non andrà in pensione. Abbiamo incontrato Alex Bristol, amministratore delegato di Skyguide, la società che garantisce il controllo del traffico aereo civile e militare su mandato della Confederazione, a Lugano-Agno. Ne è nata una chiacchierata a 360 gradi. Con vista, evidentemente, sullo scalo luganese.
Azzardiamo
un’ipotesi, per rompere il ghiaccio: non è venuto qui in vacanza, al di là
delle bellezze di Lugano…
«No, sono venuto
in visita ad Agno perché è uno degli aeroporti serviti da Skyguide. Ogni due
anni, effettuo un vero e proprio tour degli scali elvetici. Per vedere i
colleghi e, al contempo, i clienti. Nel caso specifico, la proprietà di
Lugano-Agno».
Le
facciamo subito anche una domanda trabocchetto: è venuto in aereo?
«Se ne avessi uno,
sarei venuto in aereo. Anche volentieri. Al contrario, mi sono spostato in
treno. Ripartirò dopo aver fatto visita anche allo scalo di Magadino».
Avrà
letto, però, che sono stati compiuti significativi passi avanti per riattivare i
voli passeggeri e, nello specifico, la
linea Lugano-Ginevra.
«È un collegamento di cui, in passato, ho fatto ampio uso. Anche durante le mie
visite di lavoro ad Agno. Diciamo che, in termini di rapidità e comodità, sarebbe
un vantaggio riattivare questa rotta: parliamo pur sempre di due poli economici
rilevanti».
Il
clima attorno agli aeroporti regionali, tuttavia, non è dei migliori: la
sforbiciata prevista nel piano di riequilibrio dei conti della Confederazione
potrebbe toccare i fondi destinati a garantire la sicurezza del traffico aereo
tramite Skyguide. A Lugano, per intenderci, dall’oggi al domani potrebbero
mancare 5 milioni di franchi.
«Da un lato, al riguardo, c’è una discussione politica in corso. Dall’altro, è
necessario rispondere a questioni molto profonde. Skyguide, in sostanza, è un
fornitore di servizi. Ed è chiaro che, ad Agno come altrove, noi vorremmo
continuare a garantire la sicurezza del traffico aereo nei vari scali
regionali. Il punto, ed è un punto che va chiarito, è il seguente: non spetterà
a noi decidere, ma alla politica. La palla, insomma, è nelle mani della Confederazione».
Ma voi,
concretamente, che cosa potete fare?
«Il possibile per sostenere l’aviazione. Ovunque. Quindi, intavolando
discussioni con i nostri partner. Ma, al momento, siamo tutti in attesa di ciò
che partorirà Berna. Ragioneremo in seguito sulle possibili conseguenze».


Il
fatto che, dietro a Lugano-Agno, ci sia la Città è positivo a suo giudizio? In
un certo senso, Lugano non può fregarsene.
«Sì, è positivo. E vantaggioso. Soprattutto, venendo allo scalo di Agno
sappiamo di avere un solo, vero interlocutore. Tempo fa, ricordo discussioni
infinite a Sion perché il Cantone non era d’accordo con la Città su determinate
strategie per il futuro dell’aeroporto».
Lugano
non può fregarsene anche perché l’aeroporto, nel frattempo, è cresciuto se non
letteralmente rinato grazie alla cosiddetta aviazione d’affari. I jet privati,
per intenderci.
«L’addio di Swiss, in particolare, ha costretto Agno a rivedere totalmente il
suo modello di business. Non c’erano più soldi. Ora, l’aeroporto ha solidità e
prospettive. Se la Confederazione, davvero, deciderà di ridurre le sovvenzioni
agli scali regionali, avvieremo due discussioni specifiche».
Quali?
«La prima: le autorità politiche cantonali e comunali, in Svizzera, vorranno
impegnarsi per il bene degli aeroporti? La seconda: che cosa possiamo fare,
noi, come Skyguide?».
Ecco:
che cosa potrebbe fare Skyguide?
«Pensando ad Agno, ma non solo, potremmo valutare di ridurre i tempi in cui è
attivo il controllo del traffico aereo e, quindi, l’apertura dello scalo. Per
tutto questo tempo, tutte le discussioni relative al cosiddetto piano B si sono
spesso fermate. Il motivo? I soldi ci sono sempre stati. Con Lugano, comunque,
ci siamo già seduti per discutere il da farsi qualora la Confederazione optasse
per il taglio dei sussidi».
C’è
chi, al riguardo, suggerisce che Agno e gli altri scali regionali potrebbero
imitare Samedan, in Engadina: Skyguide, semplicemente, supervisiona il
controllo ma la responsabilità dei decolli e degli atterraggi, grazie alla
procedura GPS, è nelle mani dei piloti nei cockpit.
«Da anni, se è per questo, diciamo che in alcuni aerodromi potremmo immaginare
un servizio a un livello più basso. Quanto implementato a Samedan potrebbe funzionare anche qui, ad Agno, ma bisognerebbe cambiare non pochi
parametri, dalle procedure di avvicinamento alla tecnologia. E poi bisognerebbe
discuterne con l'aeroporto e con l’Ufficio federale dell’aviazione civile, il regolatore. Ecco, l’UFAC
per Lugano prevede un controllo tramite torre. Come Skyguide, e come accade d’altronde
un po’ ovunque nel mondo, basti pensare agli aeroporti regionali negli Stati
Uniti, siamo convinti che non sia necessaria una struttura così articolata.
Potremmo fare diversamente».


Alcuni
giorni fa, un guasto al radar ha paralizzato il traffico aereo su Milano e gran
parte del Nord Italia. Anche Skyguide, negli ultimi anni, ha avuto più di una
panne. Quanto è difficile gestire la tecnologia associata al controllo del
traffico aereo?
«È una sfida, certo. L’aspetto principale, come sempre, riguarda la sicurezza. È
la nostra priorità. Per cui, di fronte a un guasto, la prima e unica cosa da fare
è liberare i cieli. Perché, in casi del genere, è più sicuro stare a terra.
Venendo a noi, Skyguide tempo fa ha avviato l’implementazione di nuovi sistemi:
i bug, di riflesso, sono impossibili da evitare o prevedere. Episodi come
quelli che hanno colpito noi o, più recentemente, Milano non sono affatto rari.
Ogni cinque o dieci anni, per intenderci, un determinato Paese o un determinato
spazio aereo subiscono una panne che necessita la liberazione dei cieli».
Ma è un
problema economico, come negli Stati Uniti? In America, il taglio ai fondi
federali si è tradotto in un’obsolescenza marcata degli strumenti per il
controllo del traffico aereo.
«No, al contrario: sono felice che la Svizzera abbia investito somme
importanti, proprio per evitare situazioni come quella statunitense. Per anni,
è vero, anche noi siamo rimasti fermi e non abbiamo aggiornato i sistemi. Poi,
però, ci siamo messi in moto e, pur tenendo un occhio fisso sul bilancio,
abbiamo recuperato terreno. Di più, come Skyguide stiamo vedendo la fine di
questo periodo di investimenti. Ma già allo stato attuale posso dire che il
nostro sistema funziona bene».
L’obiettivo
è la stabilità, dunque?
«Stabilità e prevedibilità».
In
questo senso, quanto aiuta l’iniziativa Single European Sky dell’Unione Europea
che punta a un’armonizzazione dello spazio aereo continentale?
«È un’ottima idea, con alle spalle una filosofia e una logica. L’obiettivo,
banalmente, è evitare la frammentazione che esiste fra i Paesi e superare l’inefficienza
che ne deriva. Il punto, però, è che parliamo di oltre quaranta Paesi e, di
riflesso, di oltre quaranta fornitori di servizi per il controllo del traffico
aereo. Con quasi una settantina di centri che, ahinoi, hanno tutti sistemi differenti.
Sistemi che, in termini elettronici, inizialmente non parlavano fra loro. Le
cose, ora, vanno meglio. Ma bisognerà aspettare il prossimo decennio affinché
tutti i sistemi siano capaci di parlarsi. C’è, tuttavia, un discorso politico
che rischia di frenare i progressi fatti: la guerra in Ucraina ha prodotto un
rigurgito, nella misura in cui i singoli Paesi sono più propensi a guardare al
proprio interno invece di condividere i dati con gli altri partner».
Ci sembra
di aver captato, leggendo qua e là, che Skyguide non sia d’accordo su tutti i
punti dell’iniziativa. Ad esempio, è vero che vorreste tariffe di sorvolo più
alte?
«Queste tariffe vengono determinate ogni cinque anni, circa, tramite la
Commissione Europea. È Bruxelles, in sostanza, che ci dice quanto possiamo
chiedere a ogni aereo per sorvolare il nostro Paese. Una larga, larghissima
parte degli introiti di Skyguide dipende proprio dalle tariffe di sorvolo. In
questo momento, stiamo discutendo proprio questo aspetto: il livello delle
tariffe dal 2025 al 2029».


Se
possiamo permetterci, di che cifre parliamo?
«Dipende, innanzitutto, dal tipo di aereo e dal tipo di tragitto. Un Airbus
A320 che, indicativamente, entra a Ginevra ed esce a nordest, ad esempio a San
Gallo, ci consente di fatturare 500 franchi. Per un Airbus A380, al contrario, la
tariffa sale a 700 franchi. Anche le tariffe per atterrare a Ginevra o a Zurigo
variano a seconda del peso del velivolo: a Kloten, un Airbus A380 paga fino a 2
mila franchi».
Prima
lei parlava di stabilità e prevedibilità: da oltre tre anni i cieli russi sono
chiusi alle compagnie occidentali, mentre in Medio Oriente recentemente c’è stato
un continuo apri e chiudi a causa della guerra fra Israele e Iran. Il contesto
geopolitico si riflette anche su Skyguide, immaginiamo.
«Eccome. Per le
compagnie aeree, innanzitutto, sta diventando sempre più problematico decidere
se assumersi o meno il rischio di sorvolare una determinata regione prima o
dopo la chiusura dello spazio aereo. Della serie: oggi posso passare dall’Iran?
E domani? In seconda battuta, quando accadono episodi come quelli che hanno
caratterizzato le ultime settimane in Medio Oriente, in Europa non sappiamo
bene da dove arriveranno i flussi da Dubai, volendo fare un esempio concreto.
Tradotto: non sappiamo quanti sorvoli avremo. È una situazione di per sé
stressante, ancorché gestibile. Se sappiamo che il nostro spazio aereo è pieno,
possiamo ritardare la partenza – che ne so – di un volo da Roma a Londra di
dieci o venti minuti. Questo, appunto, per non sovraccaricare il carico di
lavoro dei nostri controllori».
Un
problema tipicamente europeo che affligge il controllo del traffico aereo,
invece, è quello degli scioperi: l’ultimo ha riguardato lo spazio francese. Quali,
in questo caso, le ripercussioni?
«Il discorso è che, nel 2024, abbiamo superato per la prima volta i movimenti
del 2019: l’ultimo anno normale pre-pandemia. Quindi, se è vero che gli
scioperi si traducono in migliaia di cancellazioni, è altrettanto vero che ci
sono molti, moltissimi altri voli costretti a evitare la Francia e, di
riflesso, a utilizzare i corridoi svizzeri. La sfida, in casi del genere, è
trovare più controllori per gestire più operazioni in un singolo settore».
Negli
ultimi anni però i controllori, e Skyguide lo sa bene, mancano. Perché? È un
mestiere che non attrae più?
«Io stesso sono stato un controllore, un mestiere che ho adorato. A chiunque
incontro, ai giovani nello specifico, dico che è un lavoro meraviglioso. Un lavoro
che non verrà intaccato dall’intelligenza artificiale, non nei prossimi dieci o
vent’anni. Detto in altri termini, il fattore umano conterà sempre. Non so,
purtroppo come Skyguide non siamo ancora riusciti a trovare la chiave per
ispirare le nuove generazioni. Sebbene stiamo investendo tempo e risorse per
promuoverci pure sui social, molte persone non sanno neppure che esistiamo».
Davvero
l’intelligenza artificiale non impatterà sul lavoro del controllore?
«Non ora, quantomeno. C’è, a monte, un discorso di regolamentazione. Al momento
attuale, infatti, le leggi europee non consentono di implementare sistemi di
intelligenza artificiale nei sistemi critici per il controllo del traffico
aereo. L’AI non può organizzare i movimenti dei cieli, per intenderci. Prima
che ciò accada, e ribadito che il fattore umano conterà sempre, è necessario ragionare
sulla regolamentazione e, parallelamente, avere la certezza che queste
intelligenze artificiali non producano allucinazioni. Skyguide, detto ciò, sta valutando
l’uso dell’AI per, ad esempio, la previsione dei volumi di traffico».


C’è un
discorso di responsabilità, anche?
«Certo, perché se malauguratamente dovesse succedere qualcosa chi sarebbe il
responsabile? Un software creato chissà dove e da chissà chi? Da un lato, è
necessario che la società tutta accetti questi sistemi e, dall’altro, che la
regolamentazione faccia i passi corretti per un loro utilizzo».
A fine
ottobre, lascerà Skyguide dopo otto anni. Al suo posto, arriverà Peter Merz.
Con quali sentimenti arriva al momento dell’addio?
«Con un sentimento di fierezza. E con la certezza di aver lavorato per sostenere
un’aviazione sicura in Svizzera, a maggior ragione considerando il numero
elevato di movimenti. Oggi, ed è la verità, un aereo può sorvolare il nostro
Paese da un punto A a un punto B in piena sicurezza. Skyguide ha fatto passi
importanti verso l’introduzione di nuovi progetti, come il Virtual Center. Alcuni
dossier sono ancora aperti, ma ne ero consapevole. Però, ecco, siamo in una
situazione ottimale e sono certo di lasciare un’azienda in salute».