L'intervista

«Il futuro di Lugano-Agno? Non dipende da noi, ma dalla politica»

A tu per tu con Alex Bristol, CEO di Skyguide: «Come società che garantisce il controllo del traffico aereo ci auguriamo di poter offrire ancora il nostro servizio, tuttavia la palla è nel campo della Confederazione»
© CdT/Gabriele Putzu
Marcello Pelizzari
04.07.2025 06:00

A fine ottobre, dopo otto anni, lascerà l’incarico. «Non so ancora che cosa farò», dice. Aggiungendo che, in ogni caso, non andrà in pensione. Abbiamo incontrato Alex Bristol, amministratore delegato di Skyguide, la società che garantisce il controllo del traffico aereo civile e militare su mandato della Confederazione, a Lugano-Agno. Ne è nata una chiacchierata a 360 gradi. Con vista, evidentemente, sullo scalo luganese.

Azzardiamo un’ipotesi, per rompere il ghiaccio: non è venuto qui in vacanza, al di là delle bellezze di Lugano…
«No, sono venuto in visita ad Agno perché è uno degli aeroporti serviti da Skyguide. Ogni due anni, effettuo un vero e proprio tour degli scali elvetici. Per vedere i colleghi e, al contempo, i clienti. Nel caso specifico, la proprietà di Lugano-Agno».

Le facciamo subito anche una domanda trabocchetto: è venuto in aereo?
«Se ne avessi uno, sarei venuto in aereo. Anche volentieri. Al contrario, mi sono spostato in treno. Ripartirò dopo aver fatto visita anche allo scalo di Magadino».

Avrà letto, però, che sono stati compiuti significativi passi avanti per riattivare i voli passeggeri e, nello specifico, la linea Lugano-Ginevra.
«È un collegamento di cui, in passato, ho fatto ampio uso. Anche durante le mie visite di lavoro ad Agno. Diciamo che, in termini di rapidità e comodità, sarebbe un vantaggio riattivare questa rotta: parliamo pur sempre di due poli economici rilevanti».

Il clima attorno agli aeroporti regionali, tuttavia, non è dei migliori: la sforbiciata prevista nel piano di riequilibrio dei conti della Confederazione potrebbe toccare i fondi destinati a garantire la sicurezza del traffico aereo tramite Skyguide. A Lugano, per intenderci, dall’oggi al domani potrebbero mancare 5 milioni di franchi.
«Da un lato, al riguardo, c’è una discussione politica in corso. Dall’altro, è necessario rispondere a questioni molto profonde. Skyguide, in sostanza, è un fornitore di servizi. Ed è chiaro che, ad Agno come altrove, noi vorremmo continuare a garantire la sicurezza del traffico aereo nei vari scali regionali. Il punto, ed è un punto che va chiarito, è il seguente: non spetterà a noi decidere, ma alla politica. La palla, insomma, è nelle mani della Confederazione».

Ma voi, concretamente, che cosa potete fare?
«Il possibile per sostenere l’aviazione. Ovunque. Quindi, intavolando discussioni con i nostri partner. Ma, al momento, siamo tutti in attesa di ciò che partorirà Berna. Ragioneremo in seguito sulle possibili conseguenze».

Tempo fa, ricordo discussioni infinite a Sion perché il Cantone non era d’accordo con la Città su determinate strategie per il futuro dell’aeroporto

Il fatto che, dietro a Lugano-Agno, ci sia la Città è positivo a suo giudizio? In un certo senso, Lugano non può fregarsene.
«Sì, è positivo. E vantaggioso. Soprattutto, venendo allo scalo di Agno sappiamo di avere un solo, vero interlocutore. Tempo fa, ricordo discussioni infinite a Sion perché il Cantone non era d’accordo con la Città su determinate strategie per il futuro dell’aeroporto».

Lugano non può fregarsene anche perché l’aeroporto, nel frattempo, è cresciuto se non letteralmente rinato grazie alla cosiddetta aviazione d’affari. I jet privati, per intenderci.
«L’addio di Swiss, in particolare, ha costretto Agno a rivedere totalmente il suo modello di business. Non c’erano più soldi. Ora, l’aeroporto ha solidità e prospettive. Se la Confederazione, davvero, deciderà di ridurre le sovvenzioni agli scali regionali, avvieremo due discussioni specifiche».

Quali?
«La prima: le autorità politiche cantonali e comunali, in Svizzera, vorranno impegnarsi per il bene degli aeroporti? La seconda: che cosa possiamo fare, noi, come Skyguide?».

Ecco: che cosa potrebbe fare Skyguide?
«Pensando ad Agno, ma non solo, potremmo valutare di ridurre i tempi in cui è attivo il controllo del traffico aereo e, quindi, l’apertura dello scalo. Per tutto questo tempo, tutte le discussioni relative al cosiddetto piano B si sono spesso fermate. Il motivo? I soldi ci sono sempre stati. Con Lugano, comunque, ci siamo già seduti per discutere il da farsi qualora la Confederazione optasse per il taglio dei sussidi».

C’è chi, al riguardo, suggerisce che Agno e gli altri scali regionali potrebbero imitare Samedan, in Engadina: Skyguide, semplicemente, supervisiona il controllo ma la responsabilità dei decolli e degli atterraggi, grazie alla procedura GPS, è nelle mani dei piloti nei cockpit.
«Da anni, se è per questo, diciamo che in alcuni aerodromi potremmo immaginare un servizio a un livello più basso. Quanto implementato a Samedan potrebbe funzionare anche qui, ad Agno, ma bisognerebbe cambiare non pochi parametri, dalle procedure di avvicinamento alla tecnologia. E poi bisognerebbe discuterne con l'aeroporto e con l’Ufficio federale dell’aviazione civile, il regolatore. Ecco, l’UFAC per Lugano prevede un controllo tramite torre. Come Skyguide, e come accade d’altronde un po’ ovunque nel mondo, basti pensare agli aeroporti regionali negli Stati Uniti, siamo convinti che non sia necessaria una struttura così articolata. Potremmo fare diversamente».

L’aspetto principale, come sempre, riguarda la sicurezza. È la nostra priorità. Per cui, di fronte a un guasto, la prima e unica cosa da fare è liberare i cieli. Perché, in casi del genere, è più sicuro stare a terra. Venendo a noi, Skyguide tempo fa ha avviato l’implementazione di nuovi sistemi: i bug, di riflesso, sono impossibili da evitare o prevedere

Alcuni giorni fa, un guasto al radar ha paralizzato il traffico aereo su Milano e gran parte del Nord Italia. Anche Skyguide, negli ultimi anni, ha avuto più di una panne. Quanto è difficile gestire la tecnologia associata al controllo del traffico aereo?
«È una sfida, certo. L’aspetto principale, come sempre, riguarda la sicurezza. È la nostra priorità. Per cui, di fronte a un guasto, la prima e unica cosa da fare è liberare i cieli. Perché, in casi del genere, è più sicuro stare a terra. Venendo a noi, Skyguide tempo fa ha avviato l’implementazione di nuovi sistemi: i bug, di riflesso, sono impossibili da evitare o prevedere. Episodi come quelli che hanno colpito noi o, più recentemente, Milano non sono affatto rari. Ogni cinque o dieci anni, per intenderci, un determinato Paese o un determinato spazio aereo subiscono una panne che necessita la liberazione dei cieli».

Ma è un problema economico, come negli Stati Uniti? In America, il taglio ai fondi federali si è tradotto in un’obsolescenza marcata degli strumenti per il controllo del traffico aereo.
«No, al contrario: sono felice che la Svizzera abbia investito somme importanti, proprio per evitare situazioni come quella statunitense. Per anni, è vero, anche noi siamo rimasti fermi e non abbiamo aggiornato i sistemi. Poi, però, ci siamo messi in moto e, pur tenendo un occhio fisso sul bilancio, abbiamo recuperato terreno. Di più, come Skyguide stiamo vedendo la fine di questo periodo di investimenti. Ma già allo stato attuale posso dire che il nostro sistema funziona bene».

L’obiettivo è la stabilità, dunque?
«Stabilità e prevedibilità».

In questo senso, quanto aiuta l’iniziativa Single European Sky dell’Unione Europea che punta a un’armonizzazione dello spazio aereo continentale?
«È un’ottima idea, con alle spalle una filosofia e una logica. L’obiettivo, banalmente, è evitare la frammentazione che esiste fra i Paesi e superare l’inefficienza che ne deriva. Il punto, però, è che parliamo di oltre quaranta Paesi e, di riflesso, di oltre quaranta fornitori di servizi per il controllo del traffico aereo. Con quasi una settantina di centri che, ahinoi, hanno tutti sistemi differenti. Sistemi che, in termini elettronici, inizialmente non parlavano fra loro. Le cose, ora, vanno meglio. Ma bisognerà aspettare il prossimo decennio affinché tutti i sistemi siano capaci di parlarsi. C’è, tuttavia, un discorso politico che rischia di frenare i progressi fatti: la guerra in Ucraina ha prodotto un rigurgito, nella misura in cui i singoli Paesi sono più propensi a guardare al proprio interno invece di condividere i dati con gli altri partner».

Ci sembra di aver captato, leggendo qua e là, che Skyguide non sia d’accordo su tutti i punti dell’iniziativa. Ad esempio, è vero che vorreste tariffe di sorvolo più alte?
«Queste tariffe vengono determinate ogni cinque anni, circa, tramite la Commissione Europea. È Bruxelles, in sostanza, che ci dice quanto possiamo chiedere a ogni aereo per sorvolare il nostro Paese. Una larga, larghissima parte degli introiti di Skyguide dipende proprio dalle tariffe di sorvolo. In questo momento, stiamo discutendo proprio questo aspetto: il livello delle tariffe dal 2025 al 2029».

Un Airbus A320 che, indicativamente, entra a Ginevra ed esce a nordest, ad esempio a San Gallo, ci consente di fatturare 500 franchi. Per un Airbus A380, al contrario, la tariffa sale a 700 franchi

Se possiamo permetterci, di che cifre parliamo?
«Dipende, innanzitutto, dal tipo di aereo e dal tipo di tragitto. Un Airbus A320 che, indicativamente, entra a Ginevra ed esce a nordest, ad esempio a San Gallo, ci consente di fatturare 500 franchi. Per un Airbus A380, al contrario, la tariffa sale a 700 franchi. Anche le tariffe per atterrare a Ginevra o a Zurigo variano a seconda del peso del velivolo: a Kloten, un Airbus A380 paga fino a 2 mila franchi».

Prima lei parlava di stabilità e prevedibilità: da oltre tre anni i cieli russi sono chiusi alle compagnie occidentali, mentre in Medio Oriente recentemente c’è stato un continuo apri e chiudi a causa della guerra fra Israele e Iran. Il contesto geopolitico si riflette anche su Skyguide, immaginiamo.
«Eccome. Per le compagnie aeree, innanzitutto, sta diventando sempre più problematico decidere se assumersi o meno il rischio di sorvolare una determinata regione prima o dopo la chiusura dello spazio aereo. Della serie: oggi posso passare dall’Iran? E domani? In seconda battuta, quando accadono episodi come quelli che hanno caratterizzato le ultime settimane in Medio Oriente, in Europa non sappiamo bene da dove arriveranno i flussi da Dubai, volendo fare un esempio concreto. Tradotto: non sappiamo quanti sorvoli avremo. È una situazione di per sé stressante, ancorché gestibile. Se sappiamo che il nostro spazio aereo è pieno, possiamo ritardare la partenza – che ne so – di un volo da Roma a Londra di dieci o venti minuti. Questo, appunto, per non sovraccaricare il carico di lavoro dei nostri controllori».

Un problema tipicamente europeo che affligge il controllo del traffico aereo, invece, è quello degli scioperi: l’ultimo ha riguardato lo spazio francese. Quali, in questo caso, le ripercussioni?
«Il discorso è che, nel 2024, abbiamo superato per la prima volta i movimenti del 2019: l’ultimo anno normale pre-pandemia. Quindi, se è vero che gli scioperi si traducono in migliaia di cancellazioni, è altrettanto vero che ci sono molti, moltissimi altri voli costretti a evitare la Francia e, di riflesso, a utilizzare i corridoi svizzeri. La sfida, in casi del genere, è trovare più controllori per gestire più operazioni in un singolo settore».

Negli ultimi anni però i controllori, e Skyguide lo sa bene, mancano. Perché? È un mestiere che non attrae più?
«Io stesso sono stato un controllore, un mestiere che ho adorato. A chiunque incontro, ai giovani nello specifico, dico che è un lavoro meraviglioso. Un lavoro che non verrà intaccato dall’intelligenza artificiale, non nei prossimi dieci o vent’anni. Detto in altri termini, il fattore umano conterà sempre. Non so, purtroppo come Skyguide non siamo ancora riusciti a trovare la chiave per ispirare le nuove generazioni. Sebbene stiamo investendo tempo e risorse per promuoverci pure sui social, molte persone non sanno neppure che esistiamo».

Davvero l’intelligenza artificiale non impatterà sul lavoro del controllore?
«Non ora, quantomeno. C’è, a monte, un discorso di regolamentazione. Al momento attuale, infatti, le leggi europee non consentono di implementare sistemi di intelligenza artificiale nei sistemi critici per il controllo del traffico aereo. L’AI non può organizzare i movimenti dei cieli, per intenderci. Prima che ciò accada, e ribadito che il fattore umano conterà sempre, è necessario ragionare sulla regolamentazione e, parallelamente, avere la certezza che queste intelligenze artificiali non producano allucinazioni. Skyguide, detto ciò, sta valutando l’uso dell’AI per, ad esempio, la previsione dei volumi di traffico».

Da un lato, è necessario che la società tutta accetti i sistemi di intelligenza artificiale e, dall’altro, che la regolamentazione faccia i passi corretti per un loro utilizzo

C’è un discorso di responsabilità, anche?
«Certo, perché se malauguratamente dovesse succedere qualcosa chi sarebbe il responsabile? Un software creato chissà dove e da chissà chi? Da un lato, è necessario che la società tutta accetti questi sistemi e, dall’altro, che la regolamentazione faccia i passi corretti per un loro utilizzo».

A fine ottobre, lascerà Skyguide dopo otto anni. Al suo posto, arriverà Peter Merz. Con quali sentimenti arriva al momento dell’addio?
«Con un sentimento di fierezza. E con la certezza di aver lavorato per sostenere un’aviazione sicura in Svizzera, a maggior ragione considerando il numero elevato di movimenti. Oggi, ed è la verità, un aereo può sorvolare il nostro Paese da un punto A a un punto B in piena sicurezza. Skyguide ha fatto passi importanti verso l’introduzione di nuovi progetti, come il Virtual Center. Alcuni dossier sono ancora aperti, ma ne ero consapevole. Però, ecco, siamo in una situazione ottimale e sono certo di lasciare un’azienda in salute».