Il reportage

Nuove vite in fuga: «Ma qui siamo già in Svizzera?»

Cresce la pressione dei migranti a Chiasso, dove i centri federali sono ormai al limite - A due passi dalla frontiera, le storie di chi cerca una meta sicura in Svizzera e di chi, invece, prova ad attraversarla per raggiungere il Nord Europa
© CdT/Gabriele Putzu

«Ma qui siamo già in Svizzera?» Quando li incrociamo, a due passi dalla frontiera, Bashir e il suo amico Samir, due sedicenni afghani, non sanno neppure bene dove si trovano. In mano tengono alcuni fogli spiegazzati, consegnati loro dalle guardie di confine. «Siamo arrivati attraversando le montagne», ci dicono mentre indicano i monti che si intravedono dietro la stazione. Erano in gruppo, Bashir e Samir. Con loro, un’altra decina di persone. «Soprattutto ragazzi giovani, ma anche una famiglia». Tutti provenienti dall’Afghanistan, da cui sono fuggiti non appena i talebani hanno ripreso il potere. «La mia famiglia vive nascosta. Se li trovano potrebbero ucciderli perché mio padre lavorava nella polizia», dice Bashir. Il suo viaggio, il lungo peregrinare che lo ha portato fino a Chiasso, è iniziato un anno fa. «Sono scappato per evitare di essere costretto a combattere», ci spiega aiutandosi con il traduttore sul telefonino.

Una volta uscito dal Paese, Bashir si è trovato senza soldi («I talebani non permettono di varcare il confine con il denaro», sostiene) e per racimolare qualcosa ha lavorato per qualche tempo in nero in Turchia, per poi ripercorrere, insieme ad altre migliaia di persone in fuga, la rotta balcanica. Prima la Bulgaria, poi la Serbia e la Croazia, fino ad arrivare in Slovenia e da lì entrare in Italia. «In Italia ci hanno aiutato, dandoci cibo e vestiti», racconta mentre indica la felpa grigia che ha indosso. Ieri mattina, poi, l’arrivo in dogana, a Chiasso. «La guardia ci ha detto che possiamo andare, vogliamo raggiungere la Germania perché lì ci sono molti altri afghani». In realtà, quello che Bashir ci mostra non è un lasciapassare, ma un foglio di via. Dovrà lasciare il Paese entro sette giorni, visto che non ha voluto inoltrare una richiesta di asilo. Lui, però, pare non rendersene conto. «Dobbiamo ritrovare il nostro amico, suo fratello», spiega guardando Samir. Il ragazzo parrebbe essere stato trattenuto dalla polizia per alcuni accertamenti, e loro lo aspettano nei dintorni, mentre tentano di capire esattamente dove si trovino e come possano fare per raggiungere la Germania.

In cerca di stabilità

Sono tante e diverse, le storie di migrazione a Chiasso. Poco dopo, vediamo Yassineal, un 36.enne marocchino, mentre si avvia a passo spedito verso il centro della SEM. Via Motta 1b è la sua casa da un mese, dopo oltre dieci anni passati in giro per l’Europa. Prima c’è stata la Spagna, dove ha vissuto per qualche anno. Poi la Francia, l’Olanda, la Germania e l’Italia. Parla un pochino di italiano, in effetti, Yassineal, mischiandolo spesso allo spagnolo. «Ho fatto domanda di asilo qui, e mi piacerebbe restare», racconta. «Per tutto questo tempo ho vissuto senza documenti, spostandomi da un Paese all’altro. Ma in Europa funziona sempre allo stesso modo e, senza documenti validi, non posso lavorare. Non posso fare nulla. Vorrei riuscire a regolarizzarmi, provare a costruire una vita stabile da qualche parte e poi anche tornare a fare visita alla mia famiglia. Non vedo i miei cari da troppi anni».

Le risposte che non arrivano

Poco distante, in piazza Indipendenza, incontriamo un altro gruppetto di migranti. Seduti su una panchina al sole, cercano di far passare il tempo, in attesa di capire se potranno finalmente ottenere l’asilo in Svizzera. Guy è fuggito dal Congo. «Lì non c’è futuro, non c’è democrazia. Da voi, invece, finora sono stato trattato bene e spero di poter restare», racconta, mentre sul cellulare scorrono le immagini inviate all’avvocato che si sta occupando della sua procedura di asilo. Foto che mostrano persone armate o uccise. Lui spera possano aiutarlo a dimostrare che necessita di protezione. Accanto a lui, Abdehram, algerino, è invece molto arrabbiato. «Non capisco a chi mi devo rivolgere per ottenere l’asilo», racconta. «Martedì mi hanno cacciato dal centro di accoglienza, l’avvocato mi ha consigliato di rivolgermi a Casa Astra ma poco dopo è arrivata la polizia e sono stato allontanato. Non sapendo dove altro andare, ho dormito in un parcheggio». Mentre lo lasciamo, Abdehram sta per prendere il treno per Bellinzona, dove spera in un aiuto dall’Ufficio cantonale della migrazione. «Sono rimasto cinque anni in Francia. Venendo in Svizzera, mi è stato promesso l’asilo. E ora voglio provare in tutti i modi a ottenerlo».

Le due vie: restare o proseguire

Cosa accade a un migrante che si presenta al confine svizzero? Semplificando la situazione, le possibilità sono due e dipendono dall’intenzione del migrante stesso: restare in Svizzera o proseguire il viaggio? Nel primo caso è necessario depositare una domanda di asilo. In questa eventualità, la persona che la presenta viene trasferita in un centro federale d’asilo. A ricordare e riassumere le procedure è la portavoce dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) Nadia Passalacqua. Se invece il migrante non è intenzionato a restare in Svizzera, «in funzione dei casi, i migranti vengono riammessi in Italia o invitati ad allontanarsi dal territorio nazionale conformemente alle disposizione legali in vigore». Queste ultime persone sono quelle che ricevono il documento che nell’articolo principale chiamiamo «foglio di via». La gestione dei flussi migratori è tutt’altro che scontata, per questo «i collaboratori dell’UDSC vengono costantemente aggiornati e istruiti nell’ambito del loro mandato legale. Effettuano controlli basati sul rischio e sulla situazione e sono presenti ai valichi e nelle zone di confine».

Territorio e preoccupazioni

La situazione migratoria è osservata attentamente anche dalle autorità locali. In particolare da coloro che, vista la vicinanza con il confine o la presenza di centri d’asilo sul proprio territorio, convivono quotidianamente con i migranti che giungono in Svizzera. Per cercare di restare, o con l’intenzione di ripartire il prima possibile.  «La situazione ci preoccupa moltissimo – esordisce Sonia Colombo-Regazzoni, capodicastero Sicurezza a Chiasso, riferendosi al tema dell’ordine pubblico – . Noi qui abbiamo la cartina di tornasole degli interventi di polizia, e in questi giorni sono almeno uno al giorno legato alla presenza dei migranti. Parallelamente anche piazza Indipendenza è una sorta di specchio della pressione migratoria, perché molti ospiti del centro d’asilo di via Motta trascorrono lì il tempo e anche in questo caso è evidente che il numero di queste persone è in aumento».

Della questione il Municipio della cittadina di confine parlerà anche direttamente con la Segreteria di Stato della migrazione (SEM): «Abbiamo richiesto un incontro alla SEM per discutere della situazione e della gestione effettiva dei migranti. Visto che ce ne sono così tanti e che i numeri sono in aumento, vogliamo soprattutto capire chi se ne farà carico quando i centri federali saranno pieni. Personalmente concordo con chi pensa che anche i Cantoni che non hanno sul loro territorio un Centro d’asilo debbano fare la loro parte. Ma sono convinta anche di un’altra cosa: il Mendrisiotto ha dato abbastanza, e non solo in quest’occasione, quindi se ci dovranno essere strutture supplementari mi auguro davvero che non saranno qui. Vediamo cosa ci dirà la SEM, anche perché so che l’eventuale disponibilità di strutture è già stata verificata anche qui nel Distretto».

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