Per gli anziani c’è un altro rischio, quello della paura

Daniel Koch, capo della Divisione malattie trasmissibili dell’UFSP, negli scorsi giorni già aveva spiegato a chiare lettere: «Le persone più a rischio sono gli anziani e dovremo probabilmente concentrare su di loro le attenzioni dei sanitari». Messaggio a cui ha dato seguito anche Giorgio Merlani, medico cantonale. Parole e misure preventive, insomma, mentre il virus ha fatto il suo ingresso in una casa anziani ticinese. Ieri ulteriori raccomandazioni, quindi, con il consiglio di uscire di casa il meno possibile, di limitarsi ai contatti necessari, o inevitabili.
Seguire le direttive
Un conto è dirlo, scriverlo, sottolinearlo. Un conto, per gli anziani, è sentirlo, questo messaggio, recepirlo. Già, ma come metabolizzarlo? Ne abbiamo parlato con Giorgio Noseda, già primario di medicina interna all’OBV e di cardiologia al Civico, classe 1938, che proprio all’empatia nel campo della medicina ha dedicato anche un libro, «L’occhio che ascolta». «Naturalmente questo è un messaggio delicato, da far passare. Io stesso conosco diversi anziani che mi hanno confidato di avere paura di fronte a questo coronavirus, di essere addirittura terrorizzati dal fatto che colpisca in maniera grave soprattutto gli over 75, con severe conseguenze e in qualche caso sino alla morte. Un messaggio insomma che porta delle preoccupazioni, agli anziani. Io, a dirla tutta, non mi preoccupo più di tanto, cerco però di seguire alla lettera le direttive, che conosco già da tempo e che rispetto, a cominciare dal fatto di lavarmi spesso le mani, di tenere le distanze, da uno a due metri, dai miei interlocutori e in particolar modo dalle persone che mostrano dei sintomi della malattia, come raffreddore, tosse, affanno. Se io non mi preoccupo, tanti anziani invece, come detto, vivono questo momento con enorme apprensione».
Il giusto equilibrio
Da un lato ci sono le notizie, dall’altro tutto il discorso della prevenzione, delle precauzioni. Il non uscire di casa, l’evitare gli incontri, e quindi gli eventi, anche solo le partite a carte. Difficile far passare il messaggio impedendogli di trasformarsi in una sorta di terrorismo psicologico. «Difficile. Lo dimostra la reazione di alcuni miei conoscenti, appunto - spiega Noseda - Però, d’altra parte, è difficile stare nel mezzo. Agli occhi della popolazione, se non si dà un messaggio, se non si ha paura e rispetto del fenomeno, sembra quasi di prendere le cose sottogamba. Se invece si fa passare troppa paura, allora il medico e le autorità sono quelli che fanno terrorismo. È difficile trovare il giusto equilibrio». E poi aggiunge: «Seguo quanto avviene in Italia e anche lì si fanno polemiche sul Governo Conte: per alcuni troppo esposto, per altri troppo poco, per alcuni si fa troppo, per altri troppo poco. E qualche accenno di simili polemiche si vede già qui, in Svizzera, rispetto al Consiglio federale e ad Alain Berset, persino attorno alle decisioni prese dal medico cantonale e dal Consiglio di Stato. Troppo o troppo poco? Ripeto: difficile trovare un equilibrio, e poi dipende anche dal recipiente. C’è chi ha una certa intelligenza di analisi, e allora prenderà il messaggio con filosofia, e c’è chi invece prende paura».
Il valore di una vita
A proposito di polemiche, c’è chi ha evidenziato una certa leggerezza comune, ai limiti della sfrontatezza, nel trattare i dati relativi ai casi che hanno toccato gli anziani. In Italia è stato Lino Banfi a dichiarare: «La morte di un anziano non ha meno valore rispetto a quella di un giovane». E il virologo Roberto Burioni ha sottolineato: «Non dobbiamo pensare agli anziani come persone che sono in fin di vita. Questo virus ha ucciso persone che stavano tutto sommato bene. Dire “pazienza se muore un anziano” è una cosa abietta». Giorgio Noseda ascolta e abbozza: «Io sono anziano e posso essere realista: preferisco capiti a me che non a uno dei miei figli. La morte spaventa tutti, nessuno escluso, poi è una questione di bilanci dettati dall’età». Anche le nuove abitudini sembrano dettate dall’età. Si ritorna alle raccomandazioni, all’invito a uscire di casa il meno possibile. «Se una persona non è malata, non ha sintomi e non è stata in contatto con una persona positiva, può e deve uscire di casa, a mio avviso, pur osservando le raccomandazioni più volte citate. Poi dipende da dove si va. Meglio evitare un bar affollato, dove tra tante persone è difficile rispettare le distanze e tutte le norme suggerite, ma perché rinunciare a una gita in campagna o nel bosco, oppure a una cena con famigliari o amici? Anche in questo senso occorre evitare il terrorismo. In caso di sintomi, tutta un’altra storia».