Quando il Mercatino era un collante sociale

«È un luogo che ha accolto felicità e dolore in egual misura: era intriso di vita». Dani Noris ricorda con emozione il Mercatino e la falegnameria della Caritas in via Bagutti a Molino Nuovo, di cui è stata responsabile per otto anni. È rimasto in piedi solo lo stabile che accoglieva la falegnameria, in disuso da tempo e teatro, nella notte fra Natale e Santo Stefano, di un’incursione con vandalismi da parte gli autogestiti del Molino, che volevano «liberare» un edificio «lasciato deperire come tanti altri». La sua storia avrebbe meritato in ogni caso di essere ricordata, ma le vie della cronaca sono imprevedibili.
Una seconda occasione
«È l’espressione della Chiesa di fronte ai bisogni sociali». Fu presentata così, nel 1988, la nuova, doppia struttura della Caritas, che all’epoca era già attiva nel recupero e nel riciclaggio di mobili, abiti e oggetti vari. Con l’inaugurazione degli spazi di via Bagutti, che in precedenza avevano ospitato un piccolo cantiere nautico, l’attività fu potenziata e con essa partì un programma occupazionale che diede lavoro a quattordici persone. «A quel tempo in Ticino il tasso di disoccupazione era piuttosto basso – ricorda Noris – ma vi era uno zoccolo duro di persone che avevano perso il loro impiego e non riuscivano a trovarne un altro. Alla Caritas potevano lavorare per sei mesi e riguadagnare così il diritto alle indennità della disoccupazione: per questo era un posto molto ambito, c’era la fila». Negli anni successivi le regole cambiarono, ma il Mercatino e la falegnameria restarono un punto di riferimento prezioso per vincere il vuoto lasciato dalla mancanza di un lavoro.
Trasversale alla società
Il progetto di Molino Nuovo era stata una mossa vincente anche dal punto di vista logistico per la Caritas, che prima era in difficoltà nel gestire la mole di merce che le veniva inviata. «Serviva uno spazio per riceverla, sistemarla se necessario e rivenderla. Inizialmente – ricorda sempre la ex responsabile – arrivavano anche oggetti abbastanza preziosi. Venivano da case i cui proprietari erano morti, e gli eredi non erano interessati ad averli. Si potevano trovare delle vere e proprie chicche: infatti il Mercatino non era frequentato solo dalle famiglie meno abbienti. Ci tenevamo ad avere una clientela trasversale, non volevamo creare un ghetto soltanto per le persone povere. Chiunque poteva andarci senza che gli venisse messa un’etichetta».


Ci si affezionava
Seppur frequentato anche da clienti del ceto alto, il posto è sempre stato abbastanza fatiscente. Ma era una fatiscenza da luogo vissuto e socialmente «caldo». Chi lo frequentava ci si affezionava. «In ventiquattro anni è cambiato molto e noi, per quanto possibile, abbiamo cercato di abbellirlo. Era diventato una sorta di piazza del mercato dove molte persone sole avevano diritto di cittadinanza. Venivano tutti i giorni, restavano quanto volevano, conoscevano altre le persone. È stata una conseguenza non pianificata di un pensiero buono». Per i frequentatori e per chi ci lavorava. «Era un luogo in cui potevamo esprimere la nostra solidarietà. Pensi che alcuni volontari ci sono venuti per tutti i ventiquattro anni della sua storia». Una storia che è finita nel 2012 con il trasloco della Caritas nei moderni spazi di via Ceresio a Pregassona.
La fila d’addio
Il viaggio nel passato volge al termine. Prima di chiudere la telefonata, però, alla signora Noris torna in mente un altro aneddoto. «Quando ci eravamo trasferiti, tante cose erano rimaste in via Bagutti, così avevamo pensato di organizzare delle svendite. Ricordo che avevo appeso un bigliettino con gli orari, ma il giorno della prima riapertura ero arrivata in ritardo. E fuori, con mia grande sorpresa, avevo visto una lunga fila di persone, come quelle dei grandi eventi. Così avevo subito chiamato i rinforzi! Penso che tutta quella gente volesse anche ‘salutare’ il luogo, come a una festa d’addio». Negli anni successivi il Mercatino è stato demolito e la stessa sorte toccherà alla vecchia falegnameria, che dovrà anch’essa fare spazio al nuovo «isolato sociale» progettato dalla Fondazione Vanoni.