San Martino

Quando si "mette becco" nelle tradizioni momò

L’annuncio della presenza (poi annullata) alla fiera di una tendina del Rabadan ha acceso la polemica tra i conservatori dell’identità della festa e chi ci ha visto un’opportunità – C’è chi si sfoga: «È come presentarsi con mucche e maiali alla consegna delle chiavi a Bellinzona»
Valentina Coda
05.11.2022 06:00

Il legame del Mendrisiotto con le tradizioni è così radicato e profondo che anche la più piccola modifica sul programma originale può far storcere il naso ai più. Ed è esattamente quello che è successo nei giorni scorsi a San Martino, quando l’annunciata presenza alla fiera della tendina curata dal Rabadan di Bellinzona ha innescato uno scontro tra chi difende a spada tratta la tradizione momò e chi invece vedeva l’arrivo dei sopracenerini come la possibilità di unire un cantone diviso dalle polemiche. Insomma, il riassunto in parole povere potrebbe essere questo: il Rabadan (che visto il clima teso alla fine ha deciso di rinunciare) è il carnevale di Bellinzona, San Martino è la fiera di Mendrisio. Le due tradizioni sono diametralmente opposte e insieme non hanno senso. Fermo restando che questa diatriba si presta a molte considerazioni e che da regolamento d’iscrizione l’errore di far partecipare alla fiera – per quel che concerne buvette e mescite – un’associazione che non risiede nella Città di Mendrisio c’è stato (anche se in buona fede), i commenti sui social ben rappresentano questa divisione tra tradizionalisti e progressisti.

Creatività momò

«Sarebbe come presentarsi con mucche e maiali alla consegna delle chiavi del Rabadan», risponde una utente alla considerazione di un’altra sul fatto che risulta essere uno sforzo titanico riuscire ad andare d’accordo in Ticino. «Non vedo perché il Rabadan deve scendere a mettere becco a San Martino, non lo fanno quelli di Nebiopoli che sono ad un passo e lo vogliono fare loro? Non è questione di polemiche senza senso, ma di arroganza e prepotenza», ribatte. Ci sono poi i commenti dei rassegnati, che considerano «un peccato essere un cantone grande come un fazzoletto e non riuscire a essere coeso». Quelli che scomodano la cancel culture che «stava per mettere le mani anche sulla tradizionale sagra di San Martino, perché tutto va snaturato e reso una poltiglia omogenea senza storia». E altri che danno dei «maledetti» al Rabadan e chi quest’anno diserterà la fiera perché «se devo dare soldi al circo vado direttamente al Knie». Come visto, la tematica si presta a diverse considerazioni. Una delle tante, forse, il fatto che la secolare fiera di San Martino sia nata come mercato del bestiame e decenni dopo il bestiame sì, c’è ancora, ma ci sono anche i food truck dei pizzoccheri della Valtellina, gli arrosticini di pecora abruzzesi, uno stand che vende il poncho messicano, le giostre e altre cose che poco si addicono a una fiera agricola. Una tesi, questa, portata avanti dai progressisti. E sintomo dei tempi che cambiano senza però mettere da parte l’identità momò.

«È giusto separare»

Chi invece considera «giusta» la polemica è il presidente della Gioventù rurale del Mendrisiotto Ettore Cereghetti. «Se c’è un regolamento è giusto che vada seguito – osserva Cereghetti riferendosi all’errore degli organizzatori di far partecipare alla Fiera un’associazione che non ha sede nella Città di Mendrisio –. C’è il momento del carnevale e il momento della fiera. Le cose è giusto separarle». Unire due tradizioni diverse, per il gruppo, non è cosa buona e giusta. E gli altri dettagli, invece, che vanno in direzione opposte a quella di una fiera contadina ma che nell’insieme la rendono sempre molto apprezzata? Niente da fare, per Cereghetti. «I pizzoccheri cozzano come il Rabadan. Quella di San Martino è nata come fiera agricola in cui c’era il mercato delle bestie. Ed è già bello che ci sia ancora. Non è la stessa sagra di quando ero piccolo, ma cerchiamo di mantenere la tradizione».

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