«Resto una socialdemocratica, alle elezioni pensiamo senza ansia»

Con Amalia Mirante prosegue la nostra serie di interviste con gli esponenti di spicco dei principali partiti. Nelle puntate precedenti: Matteo Pronzini e Alessandro Speziali. Seguirà Fiorenzo Dadò.
Amalia Mirante, tra la proposta di arrocco leghista e l’avallo governativo dell’arrocchino cosa salverebbe?
«Assolutamente nulla! Senza se e senza ma, in particolare non salvo la debolezza di questo Consiglio di Stato che ha mostrato assoluta incapacità politica. L’Esecutivo del vuoto pneumatico che ha trascorso il tempo a dare colpa ad altri dei suoi errori».
Certo che, come si dice in gergo, «l’ha toccata piano»…
«Macché, io ho buona memoria e ho preso nota della dichiarazione di Gobbi, quando è diventato presidente e ha detto: se le cose non funzionano è per colpa del Parlamento. Poi il Parlamento, o i grossi partiti, dicono che le cose non funzionano per colpa della frammentazione e dei piccoli. Insomma, la verità è che nessuno si assume la responsabilità».
La legislatura è finita?
«Non è mai iniziata».
Sull’arrocco avrebbe gradito un deciso e insindacabile «no»?
«Io avrei detto no e basta. Abbiamo sentito ministri che hanno dichiarato di essere stanchi del loro dipartimento. Stanchi? Lo dicano a chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Se uno non ha più la motivazione farebbe meglio a lasciare, ma manca coerenza e coraggio. È un lavoro fantastico non un giocattolo da buttare o da scambiarsi frignando come bambini dell’asilo».
Colgo ironia e forse un po’ di acredine perché lei, in Governo, non ci è arrivata…
«Di certo, se un giorno dovessi fare mai quel lavoro mi auguro di farlo meglio di così. E comunque fare politica per fortuna non è l’unica ambizione della mia vita».


Ma non concede a Gobbi e Zali di aver agito in buona fede?
«Su questa questione proprio non riesco. Neppure sforzandomi. La favoletta de “lui farà la Giustizia, io farò il Territorio e tutti vivranno felici e contenti” non me la danno a bere. E questo nonostante io sia una grande sostenitrice della rotazione dei dipartimenti. Credo che le competenze e il valore aggiunto di un consigliere di Stato non stia esclusivamente nella gestione della macchina burocratico-amministrativa. Il consigliere di Stato deve avere una visione e una strategia politiche d’insieme, non dipartimentale. Ma in questo caso è solo una questione di salvarsi le poltrone».
Però possiamo dire che questo Governo, fino alla prova del contrario, va d’accordo e non «strappa».
«Non è sempre una virtù quella dell’andare d’amore e d’accordo. I ticinesi si aspettano delle risposte ai problemi di questo Cantone. Io in questi due anni, per esempio, non ho sentito il Governo parlare di lavoro e il lavoro è un tema fondamentale per il Cantone. Nulla assoluto nemmeno quando abbiamo chiesto serietà nella gestione delle finanze pubbliche tramite una vera revisione della spesa fatta dall’esterno. Perché all’interno non ci si riuscirà mai: nessuno di questi taglierà il ramo su cui è seduto».
Non funziona l’amalgama?
«Esatto, prese distintamente (tra umani pregi e difetti) sono anche brave persone. Ma badano alle cose proprie, al proprio sacro orticello. Così ognuno lava i panni sporchi in casa propria».
E allora il sistema maggioritario risolverebbe tutto?
«Contribuirebbe a fare chiarezza. Oggi i partiti scelgono il o la consigliera di Stato e alla fine difficilmente ci sono sorprese. L’attuale sistema garantisce la certezza del posto e il quieto vivere. Lavori bene, lavori male o non lavori del tutto? Nessun problema, tanto la rielezione non te la toglie nessuno. Infatti negli ultimi 40 anni solo tre consiglieri di stato non sono stati rieletti».
Però sarebbe bene anche ritoccare le regole del Gran Consiglio?
«E perché mai? Il problema è il Governo non il Parlamento. I governanti eletti devono rispondere al popolo. Anche nei Comuni».


Mirante lei è ancora di sinistra?
«Sono una convinta socialdemocratica, come 20 anni fa. Né più né meno».
Parla ancora con la dirigenza del PS?
«Con la dirigenza no, non serve a niente. Ho invece tanti e buonissimi rapporti con molti socialisti. È la famosa base, ed è sempre un piacere averci a che fare. Con molti c’è affetto, condivisione e rispetto».
Perché il suo partito/movimento avrà un futuro?
«Avanti con Ticino&Lavoro non è il mio partito, è una nuova possibilità per chi è stanco della vecchia politica. Non so quanta strada farà, ma la nostra prima regola è discussione, libertà assoluta di pensiero e confronto. In quale altro partito oggi si può dire altrettanto?».
Non suo, ma tutto ruota attorno a lei. Lo conferma anche il fatto che la stia intervistando e non mi ha detto «si rivolga altrove»?
«Sono la co-fondatrice di Avanti e quindi lei ha cercato me per questa intervista. Ma al di là di questo, noi siamo molto più democratici di altri. Niente mi dà piacere come vedere le discussioni accese che a volte mi vedono cambiare idea o finire in minoranza. È la democrazia. E se la mia presenza contribuisce alla crescita, ben felice che sia così, spero di poter promuovere a lungo il movimento con il mio volto e il mio nome».
Pensa già un po’ alle elezioni del 2027?
«Certo. Per forza che ci pensiamo. Ma le assicuro che lo facciamo senza l’ansia apocalittica degli altri partiti».
Belle parole, ma pensare oggi alla scadenza con le urne è responsabilità?
«Pensare al momento in cui gli elettori ti giudicheranno è la definizione di responsabilità. E nel frattempo si lavora per rendere migliore questa politica che oggi è sempre più nelle mani di partiti che stanno dimostrando di non fare l’interesse dei ticinesi. E alla fine della legislatura ci sottoporremo al giudizio popolare, perché i cittadini sono gli unici a poterci dire se la nostra direzione è quella giusta».
E a fine settembre si voterà sulle casse malati: una proposta socialista e una leghista. Avanti con Ticino&Lavoro con chi starà?
«Ragioneremo sul tema e poi valuteremo se vale la pena schierarci anche perché di regola non diamo indicazioni di voto. I cittadini sono capaci di decidere da soli. Personalmente, ritengo che il 10% del PS sia una finta soluzione che costa moltissimo: almeno 300 milioni! Ossia 20 punti di moltiplicatore cantonale! Ed è problematica anche tecnicamente. La proposta della Lega è giusta in linea di principio. Le deduzioni vanno adeguate. Ma anche qui vanno considerati seriamente i costi che saranno rovesciati sui contribuenti».
Quella che stiamo affrontando è un po’ la legislatura dei partitini. Come si sente tra queste realtà?
«Molto bene, grazie! Mi stupisce invece la poca disponibilità dei colleghi ad ascoltare “i piccoli”. Ma forse è solo la riprova della supponenza della politica attuale. È come se chi ha alle spalle un grande partito si sentisse più legittimato a parlare. E anche a dire, impunemente, cavolate. Ma la bontà delle idee e delle cose che si dicono non dipende dalla grandezza del tuo gruppo parlamentare ma dalla qualità del tuo lavoro. Inoltre, siamo stati eletti come tutti gli altri deputati, quindi sarebbe il caso di confrontarsi seriamente. Purtroppo i “grandi” si sentono parte di una specie di aristocrazia».
Visto il successo del vostro fenomeno politico, nel 2023, dopo le elezioni, qualcuno vi ha chiesto di entrare nel loro gruppo anima e corpo?
«No, tranne qualche ammiccamento. Noi stiamo bene così e non ci faremo né comperare né fagocitare».


La politica è anche amicizia e simpatia. A quale presidente si sente più vicino in questo senso?
«Presidente? Non saprei. Per contro avevo un ottimo rapporto con Giorgio Fonio quando era in Parlamento, una persona squisita e un politico con la mente aperta. Merce rara in questo Ticino. Ma anche con Paolo Pamini era stimolante discutere sulla base della comune formazione economica. Detesto il vuoto pneumatico. Un presidente forse c’è: Fiorenzo Dadò che ha una capacità fuori dal comune di rapportarsi con le persone, grazie alla sua grande umanità».
L’economia è l’anima della politica?
«L’economia è fondamentale. Ci sono persone che pensano di poterne parlare pur non essendone competenti. Un po’ come quelli che dicono “non sono un medico, ma…”».
Anche il lupo è economia. Sta con Zali o con i suoi detrattori?
«Nessun problema può essere risolto a fucilate».
E come vede le bordate tra Lega e UDC?
«Finirà a tarallucci e vino. E faranno quello che alla fine conviene in termine di poltrone, ormai l’unica cifra della loro politica».
È una sceneggiata?
«Potrei scommettere dei bei soldi: si metteranno d’accordo. E nel frattempo ci faranno solo perdere altro tempo».
Dia un consiglio a Christian Vitta?
«Cerchi soluzioni all’esterno, chieda a esperti fuori dalla bolla dei partiti e della politica come ha fatto recentemente il Consiglio federale».
E a Marina Carobbio?
«La smetta di trattare la scuola come se fosse sua. La scuola bisogna conoscerla da dentro».
Insomma, torna a studiare?
«Non è con l’approccio dall’alto che si risolvono i problemi della scuola. Il lavoro più importante è quello del docente, non dei professionisti della pedagogia e della didattica. Oggi i docenti non si sentono né capiti né considerati, nemmeno all’interno del mondo della scuola».
Cosa o chi sta dimenticando la politica ticinese?
«Gli anziani. Abbiamo trascurato le loro necessità: vedo sempre più persone che hanno difficoltà ad avere una vita dignitosa. E invece se la meriterebbero proprio, per tutto ciò che hanno dato a questo paese».