In caso di guerra

Rifugi, nella strategia di Berna si riflette anche sui frontalieri

Il Governo ha approvato una modifica dell’ordinanza sulla protezione civile per essere pronto in caso di emergenza – Tra le novità, l’aumento dei contributi sostitutivi per chi costruisce e ristruttura e un piano per i pendolari – QUAL È IL MIO RIFUGIO? ECCO CHE COSA C'È DA SAPERE
© Keystone/MARTIN RUETSCHI
Martina Salvini
28.10.2025 06:00

«L’attuale sistema con rifugi deve essere mantenuto ad ogni costo». Parola del Consiglio federale, che la scorsa settimana ha approvato una modifica dell’ordinanza sulla protezione civile, che entrerà in vigore il primo gennaio, e che in sostanza vuole che continui a essere assicurato il principio di «un posto protetto per ogni abitante». A spiccare, oltre all’ammodernamento delle strutture e all’adeguamento del contributo sostitutivo, è la decisione di approntare costruzioni di protezione civile anche per i lavoratori pendolari. Compresi, forse, i lavoratori frontalieri.

Ma andiamo con ordine. Quando si parla di rifugi per accogliere la popolazione occorre ricordare che si tratta di un obbligo sancito - a partire dagli anni Sessanta - dalla Legge federale sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC). La minaccia, allora, era la Guerra fredda, e la Confederazione pensava che fosse prioritario per ciascun abitante poter disporre, in caso di un conflitto armato, di un posto protetto nelle vicinanze di casa. Lo scoppio della guerra in Ucraina - quasi quattro anni fa - ha riacceso i timori e segnato un punto di svolta nella politica di sicurezza, dopo decenni in cui il concetto di protezione collettiva era passato in secondo piano. Da qui la decisione del Governo di non farsi trovare impreparato di fronte a una possibile escalation. Anche perché, come viene sottolineato nel rapporto esplicativo, «la Svizzera non dispone di altre infrastrutture o di altro materiale per proteggere la sua popolazione». Di conseguenza, «la protezione nel luogo di residenza rimane indispensabile».

Parola d’ordine: rimodernare

Tutto parte dalla constatazione che molti dei 370 mila rifugi presenti sul territorio elvetico hanno ormai più di quarant’anni. Le componenti installate, quindi, sono ormai a fine ciclo e devono essere sostituite. «In caso contrario - scrive il Consiglio federale - le costruzioni di protezione non sarebbero più pronte all’impiego e la protezione non sarebbe più garantita in modo affidabile». La revisione, dunque, prevede in primo luogo la sostituzione di componenti obsolete come gli apparecchi di ventilazione e i filtri di protezione. In più, l’obbligo di costruire rifugi o - in alternativa - di versare un contributo sostitutivo - non riguarderà più solo le nuove costruzioni, ma anche le ristrutturazioni, gli ampliamenti delle case e le modifiche di utilizzo. E per chi sarà obbligato a costruire un rifugio in un edificio residenziale, il contributo sostitutivo verrà quasi raddoppiato, passando da 800 a 1.400 franchi per ciascun «posto protetto». Un adeguamento che il Governo ritiene «necessario», anche perché «i contributi sostitutivi non sono più stati adeguati dal 2012 agli attuali maggiori costi per la realizzazione di un rifugio». I soldi incassati in più dai Cantoni saranno usati per coprire i costi dell’equipaggiamento e di rimodernamento dei rifugi pubblici. Maggiori costi, dice il Governo, sono da prevedere anche per la Confederazione. Infatti, nei prossimi 15 anni Berna stima di dover rinnovare circa 200 impianti di protezione, per un costo di circa 220 milioni di franchi. «Dal 2027, quindi, sarà necessario aumentare il budget annuo a 14–15 milioni di franchi» e questo «comporterà un fabbisogno supplementare di finanziamento di 5–6 milioni di franchi all’anno».

L’Ucraina ha fatto scuola

A balzare all’occhio, dicevamo, è però anche un’altra novità introdotta, ossia il fatto di prevedere una strategia che contempli i pendolari. «Durante la settimana lavorativa - rileva il Governo - il 29% degli abitanti (rispetto alla popolazione totale) si sposta per lavoro fuori dal comune di residenza». Di conseguenza, «occorre proteggere anche la parte di popolazione che si trova sul luogo di lavoro e che potrebbe essere colpita da attacchi sporadici». Anche perché, in caso di attacco con breve preavviso, «potrebbe non esserci tempo sufficiente per raggiungere i rifugi assegnati». Perciò il Consiglio federale ha deciso che - specialmente nelle grandi città - dovranno essere predisposti altri rifugi di protezione. Il conflitto in Ucraina, in questo senso, ha fatto scuola. «I conflitti in corso - spiega infatti l’Esecutivo - evidenziano che in molti casi i combattimenti non colpiscono l’intero Paese e che in certe regioni la vita quotidiana continua quasi normalmente. La popolazione di queste regioni continua a essere mobile, e di giorno molte persone (soprattutto i pendolari) non rimangono nelle vicinanze del rifugio attribuito. Di conseguenza, «oltre a beneficiare di una protezione nel loro luogo di residenza, le persone devono essere protette anche da sporadici raid aerei durante i loro spostamenti».

L’Ufficio federale della protezione della popolazione sta elaborando un documento apposito, che dovrebbe essere presentato a inizio 2027. E, nei ragionamenti della Confederazione, rientrano come detto anche i lavoratori frontalieri. «L’obiettivo è fornire protezione temporanea alle persone che non si trovano nel loro luogo di residenza o nelle vicinanze di un rifugio assegnato», ci ha spiegato l’Ufficio federale della protezione della popolazione (UFPP). Attualmente, lo ricordiamo, non sono conteggiati nei rifugi né i lavoratori frontalieri né i turisti. «La base di calcolo per la pianificazione dei rifugi è la popolazione residente permanente, che quindi soggiorna in Svizzera da almeno un anno», chiarisce la Confederazione. In caso di emergenza, viene però aggiunto, «si cercherebbe naturalmente di accogliere tutte le persone in cerca di protezione». Da noi sollecitato sul tema, l’UFPP ha fatto sapere che «uno studio chiarirà in che modo verrà attuata questa protezione e quante persone dovranno essere protette e in quali città/regioni» e che «resta ancora da chiarire in quale misura si possa tener conto dei pendolari transfrontalieri». Insomma, Berna ci sta pensando e se ne saprà di più nei prossimi mesi.

Provviste e animali: ecco cosa sapere

Ma come funziona esattamente? E come si può sapere dove si trova il proprio rifugio? Intanto, vale la pena ricordare che esistono due tipologie di rifugi: quelli privati, realizzati in cantina e che possono ospitare tra le 5 e le 50 persone, e quelli pubblici, collocati in scuole, palestre, sale multiuso. In Ticino, i rifugi privati sono circa 13.500, mentre quelli pubblici sono 130. «Negli ultimi anni - spiega Roberto Uccelli, a capo del Servizio costruzioni - l’autorità cantonale si è attivata, d’intesa con i Comuni, per realizzare rifugi pubblici usufruibili anche per il tempo di pace e quindi destinati a un uso civile». Ne sono un esempio i centri scolastici a Pianezzo e Cresciano. Ma anche la Gottardo Arena, dove il rifugio è usato come spogliatoio per i giocatori di hockey, e la scuola dell’infanzia a Torricella Taverne. «In questo modo, il rifugio non resta uno spazio fine a sé stesso e poco sfruttato, ma acquista funzione e abitabilità dei locali per un utilizzo civile durante il tempo di pace. In questo campo, il Ticino è un precursore a livello svizzero». Il Cantone è anche responsabile del piano di attribuzione dei posti protetti e del controllo periodico - ogni cinque anni - dei rifugi. Questi compiti, così come la gestione dei rifugi, vengono demandati ai consorzi di PCi. Se viene dato l’ordine di occupare il rifugio, questo deve essere pronto entro cinque giorni.

Dove si trovano?
L’attribuzione della popolazione ai rifugi non è nota. O meglio: viene resa pubblica quando la situazione di sicurezza lo richiede. Questo perché, «considerate le partenze e i nuovi arrivi, le nascite e i decessi, il piano di attribuzione viene costantemente aggiornato» e occorre evitare che, in caso di catastrofe, «circolino piani superati, che creerebbero grande incertezza e confusione».

Da cantine a bunker
In una situazione normale, i rifugi vengono usati come cantine o magazzini. Ma, se scatta l’ordine, devono essere rapidamente preparati. In particolare, in caso di «pericolo concreto», le autorità danno l’allarme alla popolazione tramite le sirene e poi - via radio e su Alertswiss - vengono diffuse le istruzioni di comportamento. I rifugi sono concepiti non solo per proteggere la popolazione in caso di conflitto armato, ma possono essere usati anche come alloggi di fortuna nell’eventualità di un incidente in una centrale nucleare o di un terremoto.

Da poche ore ad alcuni giorni
Il soggiorno, all’interno della struttura protetta, potrebbe durare da poche ore a qualche giorno. La raccomandazione delle autorità è di tenere scorte sufficienti per circa una settimana. In particolare, «alimenti a lunga conservazione e nove litri d’acqua per ciascuna persona, nonché i medicinali più importanti». Se la permanenza nel rifugio dovesse protrarsi, «le autorità possono distribuire alimenti, acqua e altri beni di prima necessità con il sostegno della protezione civile». Vale però la pena ricordare che all’interno dei rifugi non è consentito cucinare con fornelli «a causa del pericolo di incendio e del consumo eccessivo di ossigeno».

Anche cani e gatti?
Infine, non è neppure possibile farvi entrare gli animali domestici. «I rifugi - spiega la Confederazione - non sono progettati per ospitare animali». Ma in «singoli casi» - a seconda cioè delle dimensioni e dell’occupazione di un rifugio, ma anche del tipo di animale - «la possibilità di portare con sé un animale domestico non è esclusa a priori».

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