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«Sì al salvataggio delle pensioni», un fronte unito scende in campo

In vista del 9 giugno, quando i ticinesi si esprimeranno sulle misure di compensazione per gli affiliati alla Cassa pensioni dello Stato, diversi partiti e associazioni (tra cui PS, Verdi, Centro e PLR) difendono il compromesso: «Una questione di responsabilità»
©Francesca Agosta
Paolo Gianinazzi
18.04.2024 15:55

A poco meno di due mesi dalla votazione del 9 giugno, un fronte (insolitamente) compatto è sceso in campo per difendere le misure di compensazione per gli affiliati alla Cassa pensioni dello Stato. Misure – volute per compensare il già deciso taglio delle pensioni – prima discusse e approvate al tavolo delle trattative da Governo e sindacati, poi avallate a larga maggioranza dal Parlamento, il quale però ha fatto pure scattare il referendum finanziario. Motivo per cui, appunto, sulla già citate misure l’ultima parola spetterà al popolo.

Un fronte insolitamente compatto, si diceva. Già, perché al tavolo del comitato favorevole alle misure di compensazione erano presenti, fianco a fianco, i presidenti di PS, Verdi, Centro e PLR. Un’insolita alleanza che comprende però pure diversi altri partiti (Più Donne, PVL, FA, PC, POP e Avanti con T&L), così come i sindacati OCST, VPOD e SIT e tante altre associazioni, da quella degli infermieri a quella delle polizie comunali. Insomma, al tavolo dei favorevoli sono rappresentati più dei due terzi delle sensibilità politiche del cantone. E, come rilevato dal presidente del PLR Alessandro Speziali, «è un bel momento di coesione che mostra, indipendentemente dalle sfumature ideologiche, che buona parte della politica cantonale sostiene le misure di compensazione». Misure non banali, ha aggiunto Speziali. «Parliamo di salvataggio delle pensioni (ndr. lo slogan del comitato è ‘Sì al salvataggio delle pensioni IPCT’) perché la posta in palio è grossa. Parliamo di 17 mila persone, attive nei più svariati ambiti. E quando parliamo di persone parliamo anche di potere d’acquisto, che significa pure indotto per l’economia cantonale». Certo, ha ammesso il presidente liberale radicale, «in passato sono stati commessi errori, ma ciò non significa che dobbiamo penalizzare ulteriormente quelle 17 mila persone. È una questione di solidarietà e responsabilità».

Sulla stessa linea anche il co-presidente del PS, Fabrizio Sirica: «A mia memoria, da quando sono nella direzione del partito, una conferenza stampa di questo tipo (ndr. con i presidenti di PS, PLR e Centro uno a fianco dell’altro) non la ricordo. Si tratta di un messaggio importante, di unità della politica, che dimostra quanto questo tema sia fondamentale». Un tema fondamentale, ha rincarato Sirica, «perché se non passano queste misure di compensazione il risultato sarà drammatico e drastico per moltissime persone». E questo perché, in soldoni, «se già oggi la situazione non è certo da privilegiati, con la Cassa pensioni che si trova nella parte media e medio-bassa della classifica nel confronto intercantonale, senza questa misure di compensazione la Cassa sprofonderà negli ultimi posti, anche comparandola al settore privato». Quindi, «parliamo di salvataggio perché dobbiamo salvare queste persone dal rischio povertà».

Senza dimenticare, ha aggiunto dal canto suo la co-coordinatrice dei Verdi Samantha Bourgoin, che la questione va vista anche da un altro punto di vista: «Non so quanti di noi, andando all’ospedale oppure allo sportello comunale, si rendano conto che oltre che cittadini siamo anche datori di lavoro. Sì, perché lo Stato siamo noi», e quindi gli affiliati alla Cassa sono «nostri collaboratori, e siamo noi direttamente o indirettamente a determinare le loro condizioni pensionistiche. E la nostra decisione in veste di datore di lavoro non toccherà solamente queste 17 mila persone, ma anche le loro famiglie e avrà un impatto anche sull’economia cantonale».

Due, in estrema sintesi, i motivi per sostenere le misure sottolineati dal presidente del Centro, Fiorenzo Dadò: la responsabilità dello Stato in quanto datore di lavoro e i possibili riverberi nel settore privato. «È una questione di responsabilità – ha affermato Dadò – perché lo Stato è il più grande datore di lavoro della Cassa, e raggruppa oltre all’amministrazione e le scuole anche tanti altri istituti e enti di pubblica utilità». Non si può, ha aggiunto, «applaudire il personale sanitario durante la pandemia e poi non assicurargli una previdenza vecchiaia». Ecco perché, «lo Stato ha il dovere di intervenire e noi di difendere queste misure». L’ultimo punto, come detto, ha riguardato le possibili conseguenze nel settore privato. «Ogni arretramento da parte del settore pubblico – ha chiosato Dadò – apre il varco a un arretramento anche nel privato. Diamo quindi il buon esempio, e poi forse anche il privato forse ne terrà conto. Senza un intervento immediato, le pensioni degli affiliati alla Cassa finirebbero a sfiorare il minimo di legge. Ma uno Stato serio e moderno non deve permettere ciò nei confronti dei suoi dipendenti».

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