«Tutto il Ticino ne trarrà beneficio»

«Una volta riunite tutte le attività in una sede unica si potranno sviluppare sinergie fra i vari istituti: i collaboratori si incontreranno più agevolmente e le diverse attrezzature potranno essere messe in comune. Il nuovo centro darà lavoro a 250-300 ricercatori e la mia visione è che un domani ci possa essere un solo Istituto di ricerca in biomedicina (IRB), con diversi dipartimenti: immunologia, oncologia, neuroscienze, cardiologia e magari nuove aree di ricerca».
Il professore Giorgio Noseda è in trepidazione da settimane. Attende la giornata di sabato 27 novembre (quando verrà inaugurata la moderna «casa», all’ex campo militare di Bellinzona, del fiore all’occhiello cittadino) come un bambino aspetta di scartare i regali la mattina di Natale. Dal 1997 al 2012 è stato alla testa della Fondazione per l’IRB; nominato presidente onorario, è anche vicepresidente dell’Istituto oncologico di ricerca (IOR). Ma soprattutto è colui grazie al quale, oltre vent’anni fa, è stato possibile realizzare un sogno e assicurare al Ticino, alla Svizzera intera e al mondo che guarda con sempre più interesse alla Turrita una struttura d’eccellenza nell’ambito delle scienze della vita.

Il sogno di Stefano Franscini
Un’idea che balenava nella mente da alcuni anni e che si è rafforzata durante un dibattito alla radio nel 1996. Il giornalista chiese a Giorgio Noseda ed al dottor Franco Cavalli se erano soddisfatti della creazione dell’Università della Svizzera italiana (USI). «Naturalmente lo eravamo, ma pensavamo che l’ateneo fosse nato monco, con le sue tre facoltà di tipo preminentemente umanistico: architettura a Mendrisio, economia e scienze della comunicazione a Lugano. A nostro avviso un’università completa non poteva prescindere da una facoltà scientifica vera e propria (nel 2003 sarebbe poi stata inaugurata la Facoltà di informatica; n.d.r.). Già Stefano Franscini nel progetto per un’Accademia cantonale del 1844 prevedeva l’istituzione di alcune facoltà scientifiche (fisica, chimica, matematica e storia naturale)», esordisce Noseda nel lungo scritto trasmesso alla redazione. Così nei mesi seguenti sono state gettate le basi dell’IRB, i cui veli sono stati tolti nel settembre 2000.
«Tutti assieme abbiamo iniziato concretamente l’avventura sviluppando il progetto, consci che le scienze della vita, in particolare la biologia e la biotecnologia, hanno un’importanza cruciale per il futuro dell’umanità», puntualizza il cardiologo. Il cui entusiasmo contagiò non solo l’oncologo Franco Cavalli, ma altre eminenti personalità quali Marco Baggiolini, Carlo Maggini, Claudio Marone e Jean-Claude Piffaretti nonché l’allora consigliere di Stato Giuseppe Buffi, secondo il quale l’IRB «rappresentava un forte segnale di speranza per il Cantone».

Un vero fiore all’occhiello
La sede era stata trovata, idem il direttore (il professor Antonio Lanzavecchia, che nell’agosto 2020 è stato sostituito dal collega Davide Robbiani), bisognava reperire i fondi. In poco tempo arrivarono i contributi - fra gli altri - della Confederazione, del Cantone, della Città e della Fondazione Horten. Il budget iniziale era di 4 milioni; oggi è salito a 20. «L’attività iniziò con quattro gruppi di ricerca e 35 collaboratori. Oggi sono, rispettivamente, tredici e 130 (dei quali 85 provenienti da diverse parti del mondo)», precisa il dottor Giorgio Noseda, sottolineando che nel 2020 i progetti hanno ottenuto finanziamenti per 8,5 milioni.
L’IRB negli anni, infatti, ha saputo affermarsi «per la qualità e i risultati delle sue attività nel settore dell’immunologia e della biologia cellulare, con particolare attenzione ai meccanismi di difesa dell’ospite contro gli agenti infettivi e a quelli alla base delle malattie infiammatorie e degenerative, approfondendo in seguito anche i settori della riparazione del DNA e del controllo di qualità nella produzione di proteine», fino all’anticorpo scoperto di recente che apre «promettenti prospettive terapeutiche nella cura dei malati da Covid». Oltre 700 le pubblicazioni su prestigiose riviste internazionali, una trentina i brevetti registrati e numerosi i premi ricevuti. Nel 2010 l’istituto è stato affiliato all’USI; dal 2017 fa parte della Facoltà di scienze biomediche dello stesso ateneo e da quest’anno del Centro di ricerche biomediche della Svizzera italiana (Bios+) che si pone l’obiettivo di promuovere, sostenere e coordinare la ricerca, appunto, dell’IRB e dello IOR (nato nel 2003, conta 95 ricercatori).

Il Cantone della conoscenza
Sabato, come detto, la festa per la sede progettata dall’architetto Aurelio Galfetti. Sotto lo stesso tetto riunirà, oltre ai due istituti, il Neurocentro della Svizzera italiana, l’Istituto di cardiologia molecolare e cellulare e altri laboratori dell’Ente ospedaliero cantonale. La capitale potrà fregiarsi di un polo di ricerca nel campo delle scienze della vita al livello di quelli di Zurigo e Basilea, senza dimenticare la società Humabs BioMed. L’indirizzo della Città del futuro è tracciato. Anzi, il polo verrà consolidato grazie alle start-up che si insedieranno negli spazi lasciati liberi dall’IRB in via Vela e dal Parco dell’innovazione che troverà casa nel quartiere delle Officine, magari accanto a una sede decentralizzata del Politecnico federale di Zurigo. Tutto ciò contribuirà «in maniera fattiva a trasformare e potenziare il Ticino della conoscenza e a favorire lo sviluppo di un’economia più competitiva e dinamica», conclude Giorgio Noseda.
