USI, Lambertini lascia «un mestiere logorante»: le reazioni

Luisa Lambertini era subentrata a Boas Erez il 1. luglio del 2023. Ed è quindi rimasta in carica, quale rettrice dell’Università della Svizzera italiana, due anni e mezzo appena. Un periodo molto breve. Sia come sia, Lambertini ha presentato le sue dimissioni. E, con un comunicato, l’ateneo ticinese ha fatto sapere che l’economista ed esperta di finanza internazionale lascerà l’incarico il 31 dicembre «per dedicarsi alla ricerca scientifica». Il prorettore Gabriele Balbi – professore ordinario di Media Studies presso l’Istituto di media e giornalismo – è stato designato dal Consiglio dell’Università quale rettore ad interim dal 1. gennaio 2026.
Balbi che, al Corriere del Ticino, ha parlato di "continuità" per l'ateneo ticinese. E, soprattutto, dell'importanza che ora «tutto vada avanti in maniera calma, traghettando l’USI nel semestre primaverile», quando verrà scelto il nome del nuovo rettore.
Boas Erez: «Un mestiere logorante»
Una linea, quella di Baldi, condivisa a grandi linee anche dall’ex rettore (e oggi professore), Boas Erez, da noi raggiunto per un commento: «Chi sceglie questo mestiere lo fa perché gli piace insegnare o fare ricerca. Poi magari si mette a disposizione per queste cariche (quella di rettore, ndr) perché ci crede. Ma è un mestiere difficile, che logora». E in questo senso, per Erez, «è quasi più un miracolo se qualcuno resta tanti anni, piuttosto che scelga di andarsene dopo poco tempo». Ad ogni modo, aggiunge l’ex rettore, «bisogna ringraziare Lambertini per essersi messa a disposizione. Merita rispetto per aver accettato un ruolo che non tutti vogliono». Non a caso, ricorda Erez, quando si aprono i concorsi per queste cariche «ci sono sempre pochi candidati». E riguardo al futuro dell’USI, Erez si dice fiducioso: «L’USI sta andando bene. Non ho mai visto così tanti studenti nel campus». E, poi, occorre non sovrastimare l’importanza di un rettore, perlomeno sul corto periodo: «Le cose girano lo stesso. E all’USI la linfa – dagli studenti, agli insegnanti e all’amministrazione – è buona. Semmai, la figura del rettore è importante sul lungo periodo, per coltivare le relazioni con il territorio, per dare un senso di unità».
L'ex presidente Pietro Martinoli: «Sono profondamente deluso»
Decisamente più critico, invece, è l'ex presidente dell'ateneo Pietro Martinoli, il quale ha voluto parlare «a cuore aperto» perché «l’USI è un’istituzione a cui sono molto attaccato». Ma che, negli ultimi anni, ha vissuto anche tempi difficili. «Ho sempre cercato di tenermi fuori da queste storie. Ma ora, con due rettori che se ne vanno in così poco tempo, non si può più restare silenziosi». E occorre chiedersi, in sostanza, «USI quo vadis?».
Martinoli, non conoscendo i dettagli della scelta di Lambertini, preferisce non commentare il caso concreto. Ma si dice comunque «profondamente deluso» e «rattristato» dal fatto che, appunto, in poco tempo l’USI abbia cambiato due rettori. «Prima c’è stato il problema con Erez, che è finito male. E adesso questa notizia...». A preoccupare Martinoli è «il fatto che siamo in un periodo difficile anche dal punto di vista finanziario. E in questo contesto è trista avere un’università senza conduzione e in parte ‘azzoppata’». È vero, aggiunge, «c’è un Consiglio. Ma il lavoro quotidiano è portato avanti dal rettore». E, soprattutto, «occorre una persona con il timone in mano, che ha progetti sul futuro». Ecco, sottolinea Martinoli, «questa mancanza di visione futura è dovuta anche ai conflitti latenti interni all’università, che sono adesso esplosi con questa notizia». Secondo l’ex presidente, infatti, il fatto che Lambertini voglia tornare a fare ricerca, come comunicato dall’USI, non può essere l’unico motivo che l’ha portata a lasciare la carica. «È chiaro – afferma Martinoli – che dietro ci sono anche dei conflitti».
Al netto della delusione, però, Martinoli vuole restare fiducioso sul futuro dell’ateneo: «Credo che il Ticino abbia risorse straordinarie. Lo ha dimostrato anche in passato, con visionari che hanno permesso al cantone di andare avanti». E, lanciando un messaggio al mondo politico canton-ticinese, l’ex presidente invita tutti a «tenere i piedi per terra». Perché «l’USI sarà anche piccola fin quanto si vuole, ma nel suo piccolo può avere il valore di un gioiello».
Mauro Dell’Ambrogio: «È un compito molto complesso»
A dare una lettura diverse è poi Mauro Dell’Ambrogio, che è stato segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione tra il 2008 e il 2018, e quindi conosce perfettamente la complessità di lavorare nel mondo accademico e, in particolare, di occupare un ruolo come quello di rettore. «Sì, è una funzione molto complessa: da una parte bisogna governare il personale scientifico, i colleghi, i professori, ma dall’altra bisogna interfacciarsi con la politica. E la politica è complessa. Ci sono poi gli interessi locali, degli enti pubblici, le questioni legate ai budget, la concorrenza con gli altri enti, ma anche le possibili collaborazioni». Non entra direttamente nella questione, Dell’Ambrogio. Con lui rimaniamo quindi sul peso degli oneri. E fa una distinzione culturale: «Nell’Europa continentale è un compito riservato a professori che, dopo aver fatto carriera e aver dimostrato delle capacità dirigenziali, assumono quel ruolo. In altri Paesi, penso in particolare a Stati Uniti e Regno Unito, si punta su figure più manageriali, che non per forza provengono dalla gavetta scientifica. Ma qui siamo di fronte a una scelta tra diversi modelli e diverse tradizioni». Poi ci riflette su: «Non sono in grado di dire se sia la crisi di un’istituzione, ma è chiaro che, in momenti in cui la situazione si fa un po’ spigolosa, che sia nei confronti della politica o eventualmente su un fronte interno, il compito diventa difficile». Chiediamo a Dell’Ambrogio se il peso della politica colpisce anche le università con più storia. «Sicuro», dice. «Ogni università ha un proprio posizionamento e deve rispondere alle rispettive aspettative. Ci sono diversità tra le varie realtà del Paese, anche rispetto all’eterna questione sulla misura in cui l’università debba semplicemente fare ricerca di base o anche essere utile al territorio. Molto dipende anche dai modelli scelti a livello dirigenziale». Resta, in particolare per chi arriva dal mondo accademico, la complessità di capire le dimensioni del proprio ruolo. «Sì, non è immediato. Devo essere il difensore dell’autonomia dell’università, dei professori, verso la politica? Devo essere un mediatore tra il mondo accademico e quello politico? Oppure ancora devo far capire ai professori quali sono le esigenze della politica? Ci sono diverse sfumature. E in tutti i casi è richiesta una grande flessibilità, anche nel passaggio tra una realtà e l’altra. È un mestiere che si impara sul campo».



