«Voleva uccidere per risolvere un suo fastidio»

«La sua volontà era quella di uccidere, l’imputato cercava la morte della vittima per sua stessa ammissione. I fatti sono chiarissimi e risultano dagli atti: dopo un primo litigio in cui sono volati alcuni pugni, l’imputato è tornato con un coltello, sferrando fendenti e ferendo la vittima al volto. Ha agito mosso da futili motivi, perché era arrabbiato. Ha dato prova di egoismo pensando di risolvere una situazione che gli dava fastidio usando un coltello». Con queste motivazioni il giudice Amos Pagnamenta ha condannato il 49.enne siriano comparso questa mattina davanti alle Assise criminali a una pena di 3 anni e 10 mesi di detenzione per tentato omicidio e coazione. Oltre all’espulsione dalla Svizzera per 8 anni.
L'uomo, lo ricordiamo, aveva aggredito la vittima con un coltello vibrando dei fendenti verso il collo e causandogli delle ferite leggere al viso a seguito di un diverbio (per il troppo rumore notturno) sfociato in una colluttazione. I fatti erano avvenuti il 28 dicembre 2024 alla pensione Millefiori di Giubiasco che accoglie i richiedenti l'asilo.
Quei cambiamenti di versione
Delle conclusioni, quelle a cui è giunta la corte, che – a mente del giudice – si impongono «non solo sulla base delle dichiarazioni convergenti della vittima e del testimone ma anche in ragione delle ammissioni che l’imputato ha formulato nei suoi primi verbali. Ha detto di aver voluto colpire intenzionalmente la vittima al collo e così di volerlo uccidere. Certo, poi ha cambiato versione dicendo che le ferite se le era invece auto inferte la vittima con una forchetta ma questo fatto non solo non risulta credibile, non è stato provato. Era solo un tentativo di migliorare sua posizione processuale. Non ha neppure dimostrato di volersi assumere le sue responsabilità, ma ha ritrattato cambiando continuamente versione».
«Non aveva paura»
Non può essere seguita, prosegue Pagnamenta, nemmeno la tesi per cui il coltello sarebbe stato usato per proteggersi perché spaventato dalla vittima: «In primo luogo per proteggersi gli bastava rimanere in camera sua. Poi se davvero avesse avuto paura non avrebbe affrontato la vittima. E il fatto di tornare con un coltello non solo dimostra che non aveva paura ma che era intenzionato a regolare i conti una volta per tutte». Appare quindi chiaro e «indiscutibile» a mente del presidente della corte il dolo diretto nel tentato omicidio: «È andato in camera a prendere il coltello e ha vibrato dei fendenti in direzione del collo. Ammettendo, come detto, che cercava di uccidere».
Quale attenuante della pena è stata riconosciuta solo la scemata imputabilità di grado medio stabilita dalla perizia nei confronti dell’imputato.