L'editoriale

Un voto storico in un Paese che cambia

Tanto è clamorosa la vittoria di chi ha lanciato la 13. AVS, tanto è rovinosa la sconfitta per chi l’ha combattuta
Giovanni Galli
03.03.2024 16:15

L’approvazione della 13. AVS può essere considerata un evento storico. Almeno per tre motivi. Perché dopo una lunga serie di tentativi falliti, l’ultimo in ordine di tempo solo nel 2016, sindacati e sinistra sono riusciti per la prima volta a far passare un potenziamento delle pensioni per via popolare, conquistando una fetta dell’elettorato borghese, maggioritario nel Paese. Secondo, perché finora gli argomenti di sostenibilità finanziaria e di praticabilità avevano sempre prevalso su proposte di stampo statalista e socialista: la settimana lavorativa di 36 ore, il salario minimo, la cassa malati unica e le sei settimane di vacanza. Stavolta, la maggioranza dei votanti non ha fatto suoi i tradizionali appelli alla responsabilità e alla moderazione lanciati dal mondo politico ed economico. E terzo, perché questa votazione potrebbe sia segnare una svolta per il futuro della politica previdenziale – tra qualche mese si voterà sulla riforma del secondo pilastro – sia allungare la sua ombra su altri temi sensibili di carattere sociale, primo fra tutti l’assicurazione malattia.

Tanto è clamorosa la vittoria di chi ha lanciato la 13. AVS, tanto è rovinosa la sconfitta per chi l’ha combattuta. I primi hanno beneficiato di un contesto più favorevole rispetto al lancio dell’iniziativa. A causa del rincaro, intervenuto a partire dal 2022, hanno avuto finalmente buon gioco nell’invocare la difesa del potere d’acquisto, eroso dall’aumento degli affitti, dei costi dell’energia e dei premi di cassa malati. Il messaggio, semplice ed efficace, ha fatto breccia anche a destra, perforando le tradizionali barriere politico-ideologiche. Si può immaginare che abbia dato una spinta anche la tendenziale riduzione delle rendite della previdenza professionale, guardata con preoccupazione in particolare dalla popolazione attiva prossima al pensionamento. Ma sullo sfondo c’è sicuramente dell’altro. Da un lato un senso di insicurezza che porta a cercare rifugio nell’ente pubblico, considerato in grado di dispensare risorse per tutti: se ci sono i miliardi per finanziare le spese per la pandemia, gli aiuti all’estero, l’assistenza ai rifugiati e il salvataggio di Credit Suisse, questo è il ragionamento, allora ci devono essere anche soldi per l’AVS, e per me. Dall’altro è in atto un cambiamento di fondo nel rapporto fra popolazione, economia e Stato. Da altre votazioni, aveva detto il politologo Michael Hermann, si desume che i consensi per un maggiore intervento statale sono in crescita e che il «Gemeinsinn» (il senso civico) liberale si sta indebolendo. La 13. AVS è ora un ulteriore segnale di una crescente sfiducia e che questa trasformazione, difficile da inquadrare nei suoi sviluppi (non c’è un nesso diretto fra decisioni puntuali e scelte elettorali, sempre stabili), assume connotati più chiari.

Agli avversari non è bastato denunciare il costoso ricorso all’annaffiatoio, l’addebito della fattura sulle spalle dei giovani, il fatto che il problema del potere d’acquisto concerne anche gli attivi (che passeranno alla cassa), il timore di provocare uno scontro generazionale e il rischio di caricare oltremodo un pilastro previdenziale sollecitato da importanti cambiamenti demografici. Non hanno capito che il clima stava cambiando e che la partita stavolta si giocava su un terreno diverso, meno ricettivo ai loro avvertimenti. Il fatto di non aver presentato un controprogetto con soluzioni mirate per aiutare i pensionati in difficoltà è stato un errore fatale. Sul tavolo c’erano sin dall’inizio proposte solide da contrapporre alla 13. AVS, ma la minaccia dell’iniziativa è stata presa sottogamba.

Resta da vedere ora quale potrebbe essere l’impatto di questo nuovo clima, dal quale esce confermata anche l’impressione che saranno soprattutto le generazioni «anziane», in futuro, a dettare il passo. In giugno si voterà sull’iniziativa che vuole limitare l’impatto dei premi malattia al 10% del reddito. In altre circostanze una proposta del genere, che costerebbe all’erario federale miliardi, avrebbe vita dura. Ma adesso non ci sono certezze sull’esito del voto. Anche la riforma del secondo pilastro è più che mai in bilico. Nella previdenza, comunque, i conti vanno fatti quadrare. Il finanziamento della 13. AVS non è ancora stato definito. È quindi lecito attendersi una risposta celere, almeno da Governo e Parlamento, per fare in modo che venga ripristinato un equilibrio fra entrate e uscite, auspicabilmente senza toccare le imposte per finanziare la quota federale. In altre parole, andrà chiarito chi passerà alla cassa e come, fermo restando che anche qui ci potrebbero essere dei referendum. L’ipotesi di un aumento dell’età di pensionamento, con l’iniziativa dei giovani PLR uscita massacrata dalle urne, non potrà essere presa in considerazione né a breve né a medio termine. L’argomento sindacale secondo cui per un paio d’anni si potrebbe «pescare» dal fondo di compensazione senza aumentare i contributi o l’IVA resta uno slogan. Più si rinvia la soluzione più sarà difficile far fronte in futuro ai problemi strutturali con cui è confrontata l’AVS.

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