Archivi che tornano alla luce

Nell’intervista che abbiamo pubblicato sabato, Frédéric Maire (direttore uscente della Cineteca Svizzera) ha sollevato un problema che rimane ancora in parte irrisolto riguardante la conservazione ottimale dei film recenti realizzati con la tecnologia digitale. A breve termine la salvaguardia di questi materiali pare ovviamente più vantaggiosa senza un cambiamento radicale di supporto. Alla lunga però, i costi «collaterali» (licenze di software, introduzione di nuove tecniche di salvaguardia dei dati che rendono volutamente irreperibili quelle precedenti, ecc.) risultano estremamente elevati, soprattutto quando si ha a che fare con una mole di documenti enorme e in continua espansione come quella che si trova nei depositi della succursale della Cineteca a Penthaz.
L’altra via percorribile è una sorta di «ritorno al passato», ovvero la ricopiatura dei dati digitali su pellicola. Una soluzione costosa a breve termine (30.000 franchi a lungometraggio), ma che - una volta depositata la «pizza» in un armadio condizionato - non genera altre spese importanti e garantisce una qualità di conservazione tuttora ineguagliata. Un dilemma che provocherà ancora non pochi grattacapi ai direttori delle cineteche di tutto il mondo, ma che vale la pena di prendere in considerazione anche in un ambito meno specialistico. Come hanno dimostrato due titoli passati nei giorni scorsi a Locarno (il film palestinese in concorso With Hasan in Gaza e il documentario Nova 78 di cui si parla a lato), i «film-documento» - basati su materiali smarriti, dispersi o dimenticati - rischiano di farsi sempre più numerosi. Da un lato, infatti, le immagini ancora inedite filmate in digitale 20 o 30 anni fa, col passare del tempo non solo suscitano sempre maggior interesse, ma sono anche sempre più facilmente utilizzabili grazie ai programmi di «pulizia» e di «rigenerazione» oggi a disposizione. Lo ha dimostrato di recente anche una produzione svizzera: Riverboom (2023) nella quale Claude Bächtold ha recuperato delle immagini filmate nel 2003 durante un avventuroso viaggio in Afghanistan in compagnia di un giornalista e di un fotografo. Il discorso è fondamentalmente diverso (e molto più complesso) per ciò che riguarda gli archivi analogici: già soltanto il fatto di poter visionare le immagini su pellicola o ascoltare il sonoro in presa diretta (spesso conservato su un supporto separato) sottintende costi non da poco. Come ha dimostrato l’operazione dei registi e dei tecnici che con passione e competenza si sono occupati del materiale di Nova 78, sarebbe però un vero peccato se questi rari e preziosi documenti del passato non potessero finalmente vedere la luce. Quando si utilizzava la pellicola si filmava di meno e si pensava di più e questa radicale differenza d’approccio rende spesso il loro valore già assicurato a priori. Se, quindi, per salvaguardare il digitale la pellicola pare tuttora la miglior soluzione, per riscoprire la pellicola inedita la digitalizzazione è l’unica via percorribile. Accidenti, che arte complessa, ma tanto affascinante, è il cinema!