Bussola locarnese

Incontri straordinari

Un festival è un luogo in cui sviluppare dialogo, coltivare sensibilità, sguardi, estetiche, poetiche e politiche fuori dagli schemi preordinati
Giona A. Nazzaro
Giona A. Nazzaro
16.08.2025 06:00

Siamo giunti alla fine del festival e, dopo aver viaggiato lungo il programma, ci prendiamo una pausa, metaforicamente salendo su una collina per osservare meglio il terreno che abbiamo attraversato.

Un festival è un luogo di molte avventure, di tanti intrecci. Ed è anche un modo per mettere insieme percorsi, strade, territori che sono apparentemente distanti fra loro. Fra questi incontri, vorrei segnalarne uno che ha unito, messo insieme due mondi, due visioni del cinema, due cinefilie molto distanti tra loro, ma solo a prima vista. Mi riferisco al bell’incontro che Ben Rivers - grande cineasta britannico che genericamente definiremmo sperimentale, ma in realtà artista a tutto tondo - ha avuto con Lamberto Bava, Pardo speciale alla carriera. Lamberto Bava è un cineasta di genere, in apparenza lontanissimo dai mondi di Ben Rivers. Eppure, questi due cineasti si sono trovati e si sono scambiati affettuosamente opinioni e passioni. Ben Rivers, che nel 2006 aveva anche realizzato un bellissimo film, intitolato Terror!, sui grandi momenti di tensione del cinema di genere italiano - un film un po’ bootleg, perché è sempre circolato nel network più nascosto, underground, per un’ovvia questione di diritti - ha avuto modo di condividere con Lamberto Bava una serie di idee relative a un progetto a cui sta lavorando.

Mi dilungo su un singolo episodio per far comprendere come il Festival di Locarno sia soprattutto questo: favorire relazioni, sollecitare dialoghi. Come diceva Jean-Luc Godard, più le cose sono distanti fra loro, più le possibili connessioni sono interessanti. Cito a memoria, non so se siano state le parole esatte di Godard, ma l’idea era sicuramente questa: mettere insieme costellazioni di sensibilità, sguardi, estetiche, poetiche, politiche in un unico luogo. E, in tal senso, Locarno, durante i giorni del festival, diventa una sorta di laboratorio, una fucina a cielo aperto, illuminata dallo sguardo e dalla luce unica e straordinaria della Piazza Grande.

E se pensiamo proprio ai nomi che sono transitati in Piazza Grande, questo concetto, questa idea dei mondi lontani che entrano in contatto tra loro e si parlano, si guardano, diventa ancora più evidente. Abbiamo iniziato nel segno dell’Armenia, con Le Pays d’Arto; abbiamo proseguito con un’icona del cinema statunitense contemporaneo come Willem Dafoe e continuato con Emma Thompson; c’è stato il momento indimenticabile di Jackie Chan; abbiamo celebrato il genio di Milena Canonero; abbiamo avuto il piacere di omaggiare l’enorme talento di un’interprete unica come Lucy Liu; abbiamo incontrato Jafar Panahi; abbiamo consegnato il nostro Parto d’onore a un cineasta statunitense unico come Alexander Payne. Tutto ciò, nel nome del cinema. Del cinema vissuto come passione, e non come retorica promozionale, perché ciascun artista è stato celebrato per il lavoro che ha svolto e per quello che ha significato in relazione al suo lavoro.

Quindi, Locarno terra di incontri. Per parafrasare il filosofo armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, “Incontri straordinari”, fatti collettivamente, alla luce della piazza e assieme alla nostra comunità. Perché questa, in fondo, e non mi stancherò mai di ripeterlo, è la specificità di Locarno: essere un festival collettivo, un festival pensato all’interno, con e per una comunità.