Inventare il futuro

Ho sempre creduto profondamente nel cinema come strumento narrativo, perché è attraverso la narrazione che, a volte, si riescono a incrinare le strutture del potere e della sua rappresentazione. In questo senso, i film della terza giornata di Locarno sono tutti estremamente appassionanti e “giovani”, film narrativi, le cui invenzioni formali diventano esplorazioni di quanto sia ancora possibile, oggi, fare nel cinema. Orientiamo, allora, la nostra bussola partendo da Lemohang Mosese, regista del Lesotho in giuria per i Pardi di domani, il quale presenta Ancestral Visions of the Future nella sezione Open Doors, il cui nuovo ciclo, eccezionalmente di 4 anni, si concentra su 42 Paesi africani. La traccia di Mosese è indicativa del lavoro di prospezione di un festival, di ricerca e di scoperta, ma anche di costruzione del futuro. Che cos’è, infatti, un Festival se non visioni ancestrali del futuro?
Diceva Marco Ferreri, «Il futuro è donna». O, forse, non binario. Scopriamo, allora, Fantasy, di Kukla, regista non binario che presenta una storia di formazione all’ombra della Macedonia, l’enclave Est europea che, in seguito alla dissoluzione dell’ex Jugoslavia, ha rivelato una vita complessa, al di là delle semplificazioni della realtà titina. E si parla sempre di Paesi ex comunisti nel film in concorso White Snail, di Elsa Kremser e Levin Peter. Storia ultra-romantica, sensuale, con un forte feeling gotico - nel senso di dark dei Bauhaus, la band britannica - fra una modella bielorussa, che vorrebbe lavorare in Cina, e un anatomopatologo dell’obitorio cittadino. Ancora in ambito gotico, vagamente horror, si svolge il corto d’autore Nang Norn di Mattie Do, regista laotiana e americana lanciata da Locarno qualche anno fa, una rilettura originalissima della Bella addormentata. Mentre ancora dalla ex Jugoslavia giunge l’affascinante Bog neće pomoći («Dio non aiuterà») di Hana Jušić, storia di donne e di ancestrali strutture di potere maschile che tentano di forzare l’indirizzo delle esistenze di tante persone.
Continuiamo questo nostro zigzagare nel programma seguendo unicamente la bussola della curiosità e del piacere. Nella sezione Cineasti del presente scopriamo l’opera prima di Sophy Romvari, Blue Heron, thriller psicologico, emotivo, estremamente singolare. Così come peculiare è la rivelazione Together, di Michael Shanks, horror sentimentale che pone la domanda: che cosa accade quando amiamo davvero qualcuno, quando decidiamo che una persona è la nostra persona, nella buona e nella cattiva sorte? Approdiamo, come sempre, in Piazza Grande con The Dead of Winter, di Brian Kirk, protagonista assoluta Emma Thompson nel ruolo di una donna che vive isolata fra le montagne ghiacciate ed è testimone involontaria del rapimento di una fanciulla. Pure qui, si innesca una lotta. Stavolta, tra la donna che intende salvare la ragazza rapita e i gangster che, ovviamente, non vogliono che i propri piani vadano all’aria. Si potrebbe dire: Dio non aiuterà. Però ci pensa, in questo caso, Emma Thompson, in un ruolo che in un’altra epoca, sarebbe appartenuto a un attore come Sylvester Stallone.
Il cerchio della navigazione odierna si chiude dov’era iniziato, guardando cioè verso un futuro che è ancestrale, perché veniamo tutti dalla stessa matrice. Un futuro che noi ci auguriamo tuttavia diverso, aperto, fluido, non binario, accogliente e inclusivo.