L'editoriale

La difficoltà di sospendere l'incredulità per il Natale

Il nostro commento in vista del 25 dicembre – Una riflessione sulla vita adulta e sulla continua ricerca di una logica nei grandi fatti internazionali
Paolo Galli
23.12.2023 06:00

Fai tu l’editoriale di Natale? Natale mi piace, accetto. Oddio, mi piaceva il Natale di bambino. Mi piaceva scrivere le lettere a Gesù Bambino, quelle sì. Lo facevo con mio padre. Mi piaceva svegliarmi e ritrovare il salotto pieno di regali. Di prima mattina passava la nonna e depositava tutti i pacchetti. E pazienza se di tanto in tanto contenevano un pigiama, o un paio di calze di lana. Mi piaceva tutto. Mi piace tuttora, ricordando quei Natali e ritrovandoli negli occhi di mia figlia. Le sue attese. I «quanti giorni mancano, papà?». A incantarci è l’incanto, la capacità di dimenticare il resto, di fare astrazione e di credere in qualcosa di grande, nel bello senza una logica. È la logica a fregarci. È la ricerca spasmodica di una logica, sempre, in tutto. Anche dove una logica non c’è.

Come nelle guerre. Ritrovarle fuori dalla porta - non proprio, ma social sempre meno pudichi tendono ad avvicinarle -, ci ha costretto a usare la logica, anche dove normalmente avrebbe prevalso l’istinto. Sì, la pancia. E allora persino di fronte a un massacro come quello operato da Hamas il 7 ottobre, ci siamo ritrovati a chiederci se fosse giusto reagire con astio, quello che abbiamo esternato - noi, tutti - subito dopo la nausea. Perché poi c’è chi prova a imporre un’altra logica, quella del «sì, ma che cosa è successo prima?». E di rimando in rimando torniamo indietro sino alla notte dei tempi, in una rincorsa alla comprensione comunque dettata dai nostri stessi pregiudizi. Andremo insomma a cercare qualcosa che tenda a dare forza all’istinto, perché quello c’è, è sempre parte di noi. Ma la vita adulta è fatta di logica e di logiche, le quali - in tempi complicati come questi - tendono a plasmarsi anche, se non soprattutto, sui contrasti. Lo abbiamo visto bene con la pandemia, sui vaccini. Lo abbiamo ritrovato nella guerra in Ucraina. E ora in Israele.

È difficile avere sicurezze, all’interno di questa rincorsa. E forse è per questo, è a causa di questa complessità, che siamo costretti spesso ad appoggiarci ai luoghi comuni, a quanto pensiamo di sapere, di avere capito. E se quanto abbiamo pensato di capire arriva in profondità, ecco l’estremismo, ed è probabile che da lì non ci muoveremo mai. Vivremo allora un Natale come gli altri, tra regali, mercanti in fiera, grandi abbuffate - «Avanti, si mangia, dai, a tavola, si mangia!», urlava Philippe Noiret - e nuove inscalfibili finte sicurezze. A tavola si discuterà anche di politica, nonostante quanto consigli il bon ton. Quest’anno forse anche di religione, non di Dio, ma di chi ne fa le veci, non sempre con la dovuta grazia. E sarà terribilmente difficile rimanere equilibrati. Non c’è Natale che tenga.

Inseguire una logica è però l’unico modo, per la società civile, di garantirsi una sopravvivenza. Inseguire il giusto per evitare errori irrimediabili. Provare a uscire, anche solo per il tempo di un pensiero, dalla prova di forza, dalla lotta di potere, da un’altra logica, quella dello scontro, della guerra. Leggere la guerra per evitare di prolungarla, o di inasprirla. È però un equilibrio difficile da trovare, al punto che non basta neppure più evocare la pace, per uscirne. Perché c’è un tempo anche per le reazioni misurate. Ma come la definisci la misura della reazione ideale di Israele a quella carneficina? Esiste una reazione ideale? Esiste un possibile «occhio per occhio e dente per dente» o non possiamo andare al di là del porgere l’altra guancia?

Natale è pace solo per noi che possiamo permettercelo. Al netto delle «tregue almeno per le feste», è difficile oggi - anche qui, anche in Europa - guardare il cielo e sospendere la nostra incredulità per un giorno soltanto. Ciò non vale per mia figlia, per i più piccoli. Loro credono nel bello sempre, al di là della logica. E sono l’unica speranza di pace che ci resta.

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