La vittoria di Mamdani e la nuova retorica dem

A New York è andato tutto come previsto. Nonostante i grandi sforzi profusi da Andrew Cuomo e dai suoi sostenitori bipartisan (tra i quali Donald Trump ed Elon Musk), la campagna dell'ex governatore - già incagliatasi nelle primarie contro lo scoglio Zohran Mamdani - è definitivamente affondata. Nulla di inatteso, considerati i poll pre-voto che davano il 67.enne, decisamente più gradito al palato dell'establishment newyorkese e statunitense, perdente in doppia cifra nei confronti del «socialista dem», come si è più volte autodefinito Mamdani.
Il 34.enne, nato in Uganda da genitori di origini indiane, ha ottenuto la vittoria al termine di una campagna elettorale dinamica e tremendamente efficace. Onnipresente sui social e pungente nei dibattiti, Mamdani, dopo aver inizialmente sorpreso per la sua rapida ascesa, si è dimostrato inarrestabile, non lasciando scampo all'avversario.
Sarebbe un errore, tuttavia, assegnare i meriti del successo dell'uomo del Queens solamente alla sua facile parlantina, o all'abilità del suo spin doctor. Nel primo giorno della sua discesa in campo, Mamdani ha presentato un programma chiaro, basato su temi catchy, che fanno presa: asili gratuiti, autobus veloci e senza biglietti, congelamento degli affitti. Il tutto finanziato - questa la promessa dell'allora candidato, oggi sindaco eletto - con un «modesto» aumento delle tasse per le fasce più abbienti. A Mamdani, soprattutto, va riconosciuto il merito di aver abilmente smussato, nei mesi trascorsi fra primarie ed Election Day, gli aspetti più estremi e meno universalmente condivisibili della propria retorica (come la riduzione dei fondi di polizia) senza snaturare il messaggio originale: aiutare una popolazione, quella di New York, in gravi difficoltà economiche e sociali.
Facile pensare che in una città cosmopolita - anzi, la città cosmopolita - qual è New York, la vittoria di un progressista non sia nulla di strano. Ma non va dimenticato che, escluso Bill de Blasio, nell'ultimo trentennio la Grande Mela è stata governata perlopiù da sindaci etichettabili come esponenti conservatori del partito dem, quando non veri e propri repubblicani: Rudy Giuliani (1994-2001), Michael Bloomberg (2002-2013, da dem a repubblicano, e poi indipendente), Eric Adams (2014-2021). Nelle ultime presidenziali, poi, alcuni distretti - Bronx e Queens - avevano registrato un'oscillazione di oltre 20 punti percentuali, rispetto alle elezioni del 2020, in favore di Trump.
Serviranno anni perché Mamdani possa dimostrare le proprie capacità e, soprattutto, la bontà del progetto. Sarà forse un gioco di equilibri fra il rispetto della parola data agli elettori e l'evitare gli scontri più violenti con l'amministrazione Trump (che lo ha minacciato di togliere alla città i fondi federali) e con l'élite di Manhattan: i grandi contribuenti a cui verrà chiesto un sacrificio fiscale. Ma già qualcuno si chiede se questo «fenomeno Mamdani» sia destinato ad allargarsi. Qualcuno si ispirerà al suo copione?
Certo, il partito repubblicano teme questa possibilità e vede nel 34.enne la minaccia di una frangia dem in grado di usare (anche) le stesse armi del movimento MAGA (in particolare il populismo economico) per raggiungere la classe operaia, negli ultimi anni facile preda del trumpismo. Ma questa scalata progressista inquieta senza dubbio anche alcuni del partito dell'Asinello. Rappresentata a Capitol Hill da esponenti di un centrismo ostinato, la leadership del partito democratico vede nella corrente anti-establishment una bestia difficile da domare. Non a caso i dem più in vista hanno rifiutato (Chuck Schumer, leader dem al Senato) o rifiutato fino all'ultimo secondo (Hakeem Jeffries, leader dem alla Camera dei Rappresentanti) di abbracciare appieno - con un endorsement - l'inarrestabile Mamdani.
I consensi raccolti in California dallo sfrontato Gavin Newsom (non un progressista, ma abile ad usare un'altra arma MAGA: l'insulto pubblico) rafforzano l'idea che l'elettorato dem cerchi proprio questo: una classe politica che non abbia paura, per usare una traduzione letterale di una comune espressione anglosassone, «di togliersi i guanti». Con le elezioni midterm dietro l'angolo, portare avanti lotte intestine - conservatori contro progressisti - sarà ancora più pericoloso. Nei prossimi mesi capiremo se il caso Mamdani (più che Mamdani stesso) sarà unificatore o scissionista.

