Il commento

Ma il coronavirus è davvero fuggito da un laboratorio? Calma

Negli scorsi giorni, alcune agenzie statunitensi d'intelligence si sono fatte avanti nel sostenere come «più probabile» questa teoria — Ma la verità è che continuiamo a saperne poco o nulla
Giacomo Butti
03.03.2023 15:04

Sono passati più di tre anni — era il mese di dicembre 2019 — da quando le autorità sanitarie di Wuhan fecero sapere al mondo che, nella città cinese, erano stati identificati casi di polmonite associati a un virus sconosciuto. Era l’inizio della pandemia da COVID-19. Sì: sono già passati più di tre anni ma, ancora, sappiamo poco o nulla di come il SARS-CoV-2 abbia cominciato a diffondersi tra gli esseri umani.

«Il Governo lo sa, ma non ce lo dice», mi spiega l’amico, da sempre grande scettico di tutto ciò che è “comunicazione ufficiale”, al bar. Magari fosse così. Sarebbe, in qualche modo, confortante sapere che qualcuno — pur avendo deciso di tenercelo nascosto — è riuscito a dare un senso a tutto.

Ma la verità è un’altra. La verità è che anche chi, per professione, ha occhi e naso addestrati a seguire le piste più difficili, a svelare i segreti più segreti (fosse anche per darli in pasto ai pochi eletti che hanno accesso ai documenti “top secret”) non è riuscito a dare, sino ad oggi, una definizione univoca delle origini della COVID-19. Il virus si è sviluppato in maniera naturale, passando da un animale all’essere umano in un wet market di Wuhan? O è stato progettato in un laboratorio dal quale, in seguito, è “fuggito”?

Nel 2021, la pubblicazione negli Stati Uniti di un primo “Riassunto declassificato della valutazione sulle origini della COVID-19” (Unclassified summary of assessment on COVID-19 origins), mostrava come anche l’intelligence americana avesse trovato pane per i propri denti. Nel mese di maggio di quell’anno, l’amministrazione Biden aveva affidato ai propri migliori segugi — otto agenzie d’intelligence fra le diciotto che, in totale, compongono i servizi segreti statunitensi — il compito di trovare il bandolo della matassa pandemica. Ma nel rapporto citato, reso parzialmente pubblico qualche mese più tardi, le otto prescelte — agenzie il cui nome non è stato rivelato — mostravano di essere arrivate a conclusioni diverse. Quattro di esse ritenevano con «bassa sicurezza» (low confidence) che l’infezione iniziale da SARS-CoV-2 fosse stata probabilmente causata dall’esposizione naturale a un animale infetto o a un virus progenitore, poi mutato. Un’altra agenzia, invece, era arrivata alla conclusione (con «moderata sicurezza») che il coronavirus fosse “scappato” da un laboratorio cinese. I tre servizi di intelligence rimasti (tra i quali la CIA, l’unica agenzia la cui identità e “voto” i media americani erano subito stati in grado di rivelare), non avevano saputo fornire una risposta in assenza di più precise informazioni, o ritenevano le due ipotesi ugualmente probabili. A mettere tutti d’accordo, un’affermazione: «Riteniamo che il virus non sia stato sviluppato come arma biologica».

Negli scorsi giorni, alcune informazioni raccolte in un “rapporto aggiornato” (ancora classificato) sono state carpite e pubblicate dai media d’oltreoceano. La novità? Questa volta, le agenzie d’intelligence “titubanti” sono soltanto due. L’identità dell’apostata è stata svelata dal Wall Street Journal: i servizi segreti del Dipartimento dell’Energia statunitense (DoE), coinvolti nella ricerca e, appunto, inizialmente indecisi, hanno abbracciato la teoria della fuga da laboratorio, benché con un grado di certezza «basso».

All’indomani delle rivelazioni, e forse ingelositi dall’attenzione mediatica dedicata alla meno famosa intelligence del DoE, all’FBI ci si è sentiti in dovere di specificare: «Siamo noi ad aver sostenuto nel 2021 questa teoria, e lo facciamo ancora». Una presa di posizione che non cambia la somma, ma che — insieme al cambio di divisa del Dipartimento dell’Energia — ha dato ai giornali del mondo di che parlare: «L’intelligence americana ritiene “più probabile”, come origine della COVID-19, la fuga da un laboratorio».

Al bar, c’è aria di rivalsa: «Avevo ragione», mi dice lui. Beh, non esattamente.

Il cambio di vedute all’intelligence del DoE sarebbe dovuto all’analisi di nuove informazioni (anche qui, classificate) raccolte nei mesi passati dal primo rapporto. Informazioni condivise, ovviamente, con il resto del Concilio nazionale d’intelligenza, pur senza provocare altri stravolgimenti ideologici fra i partecipanti all’inchiesta. Insomma: in un anno e mezzo, l’unico cambiamento registrato nelle convinzioni degli otto servizi segreti è stato il passaggio, in un caso, di un «boh» a un timido «forse». Tutti gli altri rimangono fermi sulle proprie, insicure, posizioni. La muta di bracchi, sostanzialmente, continua a correre in direzioni diverse: non una grande battuta di caccia per chi sperava di portare a casa una risposta precisa alla grande domanda.

E allora, assumendo un po’ dello scetticismo (non troppo, e solo a fin di bene) che contraddistingue il mio amico, mi chiedo: la tempistica di questo cambio di vedute al Dipartimento dell’Energia, e della boriosa riasserzione dell’FBI, è casuale? O, dietro, c’è la volontà — viste le attualissime tensioni fra Washington e Pechino — di gettare ancora un po’ di benzina sul fuoco delle relazioni sinostatunitensi?

Non lo sapremo mai. Come, forse, non sapremo mai che cosa, davvero, è successo in quegli ultimi scampoli di 2019, quando tutto cominciò. E allora, mi rendo conto, in questi casi è probabilmente meglio rifugiarsi in un “so di non sapere”. Perché è meno pericolosa l’assoluta incertezza di un «boh» che uno strumentalizzabile «forse».

In questo articolo:
Correlati
Si torna a parlare dell'origine del COVID-19
È «probabile» la fuga dal laboratorio di Wuhan – Il dipartimento dell'Energia USA ha aggiornato un rapporto dell'2021 sulla base di «nuove informazioni di intelligence, studi di ricercatori e consultazioni con esperti non governativi»