Il commento

Siamo in colpevole ritardo: il 142 lo dimostra

Il problema della violenza domestica non si combatte in modo casuale
Jenny Covelli
26.11.2025 06:00

Ogni 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, vengono snocciolate le cifre del fenomeno, scattando una fotografia sempre più preoccupante. Lo stesso ha fatto ieri il Governo ticinese, tracciando però un bilancio definito «incoraggiante» del lavoro intrapreso nella lotta alla violenza domestica. «Delle 80 misure previste, 79 sono state realizzate, attivate o sono in fase di sviluppo. Altre 40 nuove misure saranno sviluppate entro il 2027». Benissimo, ma i numeri rimangono: 982 interventi di polizia in Ticino per situazioni di disagio familiare, 600 infrazioni di violenza domestica, 48 donne e 52 bambini accolti nelle case protette. E sono solo una fetta della realtà, perché la maggior parte delle persone che subisce violenza, lo fa in silenzio. Una violenza tuttora vissuta, e troppo spesso trattata, alla stregua di un «fatto privato», rinchiuso tra le mura di casa.

Su questo, i rappresentanti del Consiglio di Stato sono stati chiari, ieri. «La violenza domestica è una tematica che riguarda la società nel suo insieme ed è ormai considerata come un problema di salute pubblica», ha detto Gobbi. Carobbio-Guscetti ha parlato di «piaga sociale, una sconfitta per l’intera società». «Tutti abbiamo il dovere di intervenire», ha aggiunto De Rosa. Le parole sono importanti e «discuterne è certamente necessario, ma non sufficiente». È per questo che, se da una parte è giusto sottolineare le misure finora attuate, dall’altra è anche doveroso ricordare che siamo tremendamente in ritardo. Perché un femminicidio ogni due settimane è un fatto inaccettabile. E mentre nel mondo (e sui social) si diffonde il gesto universale per chiedere aiuto in silenzio (il pollice tocca il palmo e le quattro dita si chiudono), nel 2025 la Svizzera non ha ancora un numero unico di emergenza. La Convenzione di Istanbul è in vigore dal 2018, eppure per avere il numero unico nazionale per l’assistenza alle vittime bisogna attendere ancora. Il 142 sarà operativo da maggio 2026. La sua approvazione risale al 2021: ne aveva parlato la consigliera federale Karin Keller-Sutter durante una conferenza stampa in piena pandemia. Sono trascorsi quattro anni. L’orizzonte avrebbe dovuto essere il 1. novembre. Sarà – si spera – il 1. maggio. «Uno strumento semplice, immediato e riconoscibile per chi cerca aiuto o per chi assiste a situazioni di pericolo», viene definito. Ma così semplice – almeno da implementare – pare non essere. Per giustificare il ritardo si è parlato di basi legali necessarie, di complessità tecnica. Ma il punto rimane: il numero ancora non c’è. Il Ticino ha «espresso malcontento e disappunto» per i rinvii. E si dice pronto a partire.

Lo ribadiamo: siamo in colpevole ritardo. E non solo sul numero unico di emergenza. La Svizzera ha deciso sette anni fa di aderire alla Convenzione di Istanbul per proteggere le donne dalla violenza. Eppure, la tutela offerta nel nostro Paese è insufficiente. Nell’ultimo rapporto, siamo stati bacchettati perché «non rispettiamo gli impegni fondamentali già assunti». Il voto generale è un brutto 3 (su 6): la Confederazione non ha ancora elaborato una strategia globale vincolante, per cui a oggi l’ingresso a una casa protetta, la possibilità di accedere a una visita medico-legale dopo un’aggressione sessuale, o l’offerta di un’educazione sessuale inclusiva sono «troppo casuali». Il problema della violenza domestica non si combatte in modo casuale. Bisogna accorciare le distanze. Con gli autori di violenza e, soprattutto, con le vittime.

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