Violenza strutturale

Ancora una volta ci troviamo a scrivere parole che non vorremmo più dover scrivere. Ancora una volta siamo qui a contare corpi di donne, a dare nomi e volti a quella che non è emergenza, ma struttura. Perché non chiamiamola emergenza, questa carneficina quotidiana. Le emergenze hanno un inizio e una fine. Questo è sistema. Neuchâtel. Una donna e due bambine. Ex-moglie e due figlie. Tre vite spezzate dalla violenza patriarcale, dalla possessività travestita da amore, dal controllo mascherato da protezione. Tre persone che non si sveglieranno perché un uomo ha deciso che non avevano diritto di esistere senza di lui, lontano da lui, libere da lui.
La Svizzera - Paese che si vanta di essere civile, democratico, avanzato - nel 2025 ha già contato diciannove femminicidi. Questi, ci fanno arrivare a ventidue. Ventidue volte in cui i meccanismi di protezione hanno fallito. Ventidue volte in cui la violenza maschile si è consumata fino alle sue conseguenze più estreme. E noi siamo qui a chiederci: quando sarà abbastanza? Quando potremo dire basta? Basta con le lacrime di coccodrillo dopo ogni delitto. Basta con i «mai più» che si ripetono stancamente mentre gli «ancora» si moltiplicano. Basta con la retorica del «raptus» e della «follia» e del «dramma», quando invece parliamo di una violenza strutturale, sistemica, prevedibile.
Uccidere la propria ex-moglie è la logica estrema del possesso. È l’ultimo atto di un copione scritto da una cultura che insegna agli uomini che le donne sono loro proprietà, che i figli sono estensioni di sé, che l’autonomia femminile è un torto imperdonabile. Quante volte dobbiamo spiegare che dietro ogni femminicidio c’è una storia di maltrattamenti, di controllo, di violenza psicologica? Quante volte dobbiamo ripetere che i segnali ci sono sempre, ma vengono sistematicamente ignorati, minimizzati, scusati? Le Istituzioni devono smetterla di fingere che questo non sia un problema strutturale. Servono investimenti massicci nella prevenzione, nell’educazione, nel sostegno alle donne che vogliono uscire da relazioni violente. Servono case rifugio, percorsi di autonomia economica, protezione reale per chi denuncia.
Soprattutto, serve una rivoluzione culturale. Serve smetterla di crescere i «maschi» come piccoli proprietari e le «femmine» come proprietà. Serve parlare di consenso, di rispetto, di autonomia. Serve che gli uomini - tutti gli uomini - si assumano la responsabilità di questa strage e smettano di delegare alle donne il compito di salvarsi da sole. Perché le donne sanno già come salvarsi. Sono gli uomini che devono imparare a non ucciderle. Oggi piangiamo tre vittime dell’indifferenza. Domani lottiamo perché non ce ne siano altre. La violenza patriarcale si nutre del silenzio. Noi non taceremo mai.
* per FAFTPlus