Voci lontane, sempre presenti

La bussola odierna ha le sembianze di un sismografo: registra voci lontane, sempre presenti, per citare il bellissimo film di Terence Davis. Voci provenienti dalla cinematografia britannica, che il Festival di Locarno omaggia con il programma Great Expectations. Più di 40 film, oltre la metà dei quali in pellicola 35 mm, che celebrano - o meglio, riscoprono - autori attivi tra il 1945 e il 1960. Sul cinema britannico gravano conclusioni preconcette: che non esista tout court, che sia nato soltanto con il free cinema o che sia stato terra di professionisti poi adottati da Hollywood. Nulla di vero. Il cinema britannico esiste, ha una sua identità precisa. E il programma messo in piedi da Ehsan Khoshbakht, con il quale ho avuto il piacere di discutere le linee della rassegna, data dalla fine della Seconda guerra mondiale sino al 1960, ossia un anno prima di A Taste of Honey di Tony Richardson, che dà l’avvio al free cinema e a quel peculiare realismo che ancora oggi caratterizza la produzione inglese.
In quegli anni, il cinema britannico si poneva domande importanti: come ricostruire un Paese? Che cosa significa tornare a vivere come comunità dopo aver resistito alla guerra? Durante il conflitto mondiale gli inglesi avevano vissuto sui ritmi dettati dall’emergenza bellica. Ma, dopo, bisognava rientrare nella normalità. Il cinema - mentre si rimetteva in piedi come industria - tentava di ripensarsi come espressione della nazione e si rifletteva nelle sue maggiori città. La cultura metropolitana urbana è uno dei criteri che hanno guidato la selezione, che non contempla i film fantastici, di genere o dell’orrore, ma si concentra soprattutto sulle narrazioni urbane, in tutte le sue forme: le commedie, i polizieschi, gli avventurosi, i film drammatici. Un cinema che si inventò un nuovo star system. Pensiamo, ad esempio, a Dirk Bogarde, che da versione britannica di James Dean, con tanto di giubbotto di pelle nera, diventerà poi un’immagine faro del cinema d’autore europeo, da Luchino Visconti a Bertrand Tavernier, a Rainer Werner Fassbinder.
Cinema britannico, allora, come luogo di grandissime scoperte. E dal programma odierno vorrei segnalare Night and the City, di Jules Dassin, padre del noir americano: sì, perché la Gran Bretagna del dopoguerra era diventata anche un luogo di rifugio e di accoglienza per i cineasti che dovevano mettersi al riparo dalle prescrizioni maccartiste. Cito ancora Odd Man Out, di Carol Reed, e The Happiest Day of Your Life di Frank Launder, regista chiave della produzione inglese; e ancora Hunted, di Charles Crichton, film che forse gli appassionati del Festival di Locarno ricorderanno come vincitore del Premio della giuria internazionale dei giornalisti nel 1952.
Ci sono due modi di fare le retrospettive: il primo è celebrare autori del passato, il secondo far emergere ciò che è rimasto sottotraccia. A Locarno preferiamo esplorare in questa direzione, perché la storia del cinema, se mi posso permettere un’iperbole, non è ancora stata scritta del tutto. Anche per questo, giudico prezioso il volume sulla retrospettiva curato da Ehsan Khoshbakht, un libro nel quale abbiamo pubblicato nuovi saggi e un dizionario unico dei nomi attivi in quegli anni. Un contributo storiografico che riempie il vuoto di studio e di analisi filologica di una cinematografia importantissima come quella britannica.