L'editoriale

Accesso ai mercati, ora serve una svolta

La normalizzazione dei rapporti fiscali fra Svizzera e Italia, con lo stralcio della Confederazione dalla black list e l'imminente ratifica dell'accordo fiscale, non ha contropartite per il Ticino, perché un capitolo rimane aperto, senza soluzione all'orizzonte: l’accesso al mercato transfrontaliero dei servizi finanziari
Giovanni Galli
29.04.2023 06:00

Anche se per il sigillo definitivo bisognerà attendere qualche settimana, nei rapporti fiscali fra Svizzera e Italia si sono di fatto chiusi due capitoli importanti: quello delle black list e quello dell’imposizione dei lavoratori frontalieri. La decisione del Governo di Roma di stralciare la Svizzera dalla lista nera delle persone fisiche (l’ultima su cui ancora figurava la Confederazione) e quella imminente della Camera dei deputati di ratificare l’accordo fiscale concretizzano la volontà di normalizzare i rapporti fra i due Paesi. È stato compiuto un passo avanti, che permette di lasciarsi alle spalle un periodo complicato, non privo di incomprensioni e di contrasti. Ma da parte svizzera bisognerebbe evitare sia i facili entusiasmi, visto che l’impatto pratico delle due decisioni non è sconvolgente, sia di dormire sugli allori, perché in campo finanziario restano altri nodi da sciogliere.

Con la cancellazione dalla black list cade il ribaltamento dell’onere della prova per i cittadini italiani interessati a stabilirsi in Svizzera. In futuro, coloro che si trasferiscono dall’Italia alla Svizzera non dovranno più dimostrare all’Agenzia delle entrate che la loro residenza non è fittizia. Letto in chiave cantonale, significa che ci saranno meno ostacoli per il trasferimento di globalisti italiani in Ticino, con il relativo indotto economico. Il tempo e i fatti diranno se si tratta o meno di una misura di portata marginale, come hanno detto alcuni addetti ai lavori. Il fatto è che questo stralcio arriva con grande ritardo, perché le condizioni per togliere la Svizzera dall’elenco dei Paesi a tassazione privilegiata sussistevano già da diversi anni, quando era stato introdotto lo scambio di informazioni fiscali. Nonostante la caduta del segreto bancario, l’Italia ha continuato, per interessi propri, ad attuare una misura che non si giustificava più.

Anche il rinnovo dell’accordo sull’imposizione dei frontalieri, che come la black list faceva parte della roadmap siglata a Milano nel 2015, diventerà presto realtà. In Ticino l’intesa è stata accolta con sentimenti contrastanti, ma prevale per ora una comprensibile freddezza. È troppo presto per dire se e quanto l’intesa sarà vantaggiosa. Sulla carta, grazie all’eliminazione dei ristorni, dal 2034 ci dovrebbe essere un aumento del gettito.

Ma nel breve termine (fra maggiori ristorni e minori imposte comunali) si prospetta un calo. Quanto all'effetto del nuovo regime fiscale sul problema del dumping salariale, visti i tempi e le modalità di attuazione dell'accordo, secondo gli esperti Marco Bernasconi e Samuele Vorpe bisognerà attendere almeno dieci anni per vedere i primi riscontri. Quel che è certo, è che l’Italia dal 2025 stima un aumento degli introiti e a regime (2045) un maggior gettito di 232 milioni di euro.

La normalizzazione dei rapporti, almeno per quanto riguarda il Ticino, non ha contropartite perché per due capitoli che si chiudono ne rimane aperto, senza soluzione all’orizzonte, uno molto importante per la piazza bancaria: l’accesso al mercato transfrontaliero dei servizi finanziari. È un tema che tocca da vicino gli istituti che hanno interesse a trattare oltrefrontiera con la clientela italiana. A dispetto dell’impegno assunto a Milano otto anni fa, non solo i colloqui non sono mai realmente decollati, ma sono stati fatti passi indietro. Le legge italiana, entrata in vigore nel frattempo, prevede per gli intermediari finanziari con sede in un Paese non membro dell’UE l’obbligo di aprire una succursale in Italia, un requisito molto costoso e di stampo protezionistico, che di fatto impedisce agli attori della piazza ticinese di lavorare liberamente con la stragrande maggioranza dei suoi clienti. Inoltre, l’Italia impone pure un tributo per le consulenze fornite alla clientela italiana, anche alle banche che non dispongono di una succursale. Con il risultato che le banche pagano le imposte due volte.

Sin qui l’Italia ha giocato molto bene le sue carte e ha ottenuto quello che voleva. Si può dire altrettanto della Svizzera? In ambito finanziario e fiscale non ci sono più margini per ottenere qualcosa. Torna quindi d’attualità la richiesta di cambiare approccio con Roma (a smuovere le acque ha già provato a due riprese il consigliere nazionale Fabio Regazzi), vincolando la conclusione di negoziati in corso in vari ambiti alla concessione agli operatori svizzeri della possibilità di prestare servizi in campo finanziario. Il Consiglio federale ha dato una risposta evasiva, dicendosi disposto ad attuare questo approccio trasversale «non appena lo riterrà opportuno in funzione degli interessi dell’Italia». Certo, un passo del genere richiede di andare oltre il quieto vivere e implica un confronto più duro con la controparte, ma è anche l’unica via d’uscita. Sempre che lo si voglia fare.