Cassa malati, pasticcio alla ticinese

La citazione dal «Candelaio», l’irriverente commedia teatrale di Giordano Bruno, scritta a Parigi nell’estate del 1582, ci viene in aiuto per illustrare compiutamente l’assurda situazione che ci apprestiamo a vivere in Ticino sul tema Cassa malati: «Chi falla in appuntar primo bottone, né mezzani né l’ultimo indovina». Vale a dire: chi sbaglia ad allacciare il primo bottone, poi non ne azzecca più nemmeno uno. Provate ad indossare una camicia e fallire dall’inizio nell’abbinamento bottone-asola. E fallimentari, lo si sapeva dal principio, sono le iniziative populiste (da destra e da sinistra) presentate da due partiti agli antipodi (la Lega e il PS), ma entrambi smaniosi di accollarsi mostrine e meriti da sventolare elettoralmente ai quattro venti nel nostro fazzoletto di terra cantonticinese. Nella trappola sono poi scivolate anche le due forze «moderate», con le soluzioni di compromesso poste a rimorchio sul tavolo da PLR e Centro. Ma perché si ha paura a dire «no» a qualcosa che, lo si vedeva da lontano, zoppica vistosamente e non risponde alla ragione bensì solo alla pancia? Ora a mettere un po’ di chiarezza ci ha pensato il Governo con una posizione negativa e con un semplice, quanto realistico, termine: «Entrambe le iniziative sono insostenibili». Dura lex, sed lex. In realtà non sentiamo ormai più da tempo dire da parte della politica, «no, caro cittadino, questo non ce lo possiamo permettere». Ecco, siamo al capolinea. Le proposte, magari anche idealmente sottoscrivibili, risultano praticamente dannose e autolesioniste per l’intero sistema-Paese. La Lega, con un testo lanciato nel 2022, mira a rendere integralmente deducibili i premi di cassa malati nella dichiarazione delle imposte. Bello, bellissimo. Anche perché, ammettiamolo, pagare le imposte è sì un dovere, ma non proprio il piacere più gratificante. Ovviamente, si può liberamente dissentire. Il problema non è tanto ideologico, ma concreto, pratico e finanziario. Questa mossa farebbe mancare alle casse del Cantone e dei Comuni su per giù 100 milioni di franchi. Non proprio noccioline. Da sinistra la proposta è di contenere il premio di Cassa malati «al massimo al 10% del reddito disponibile». Costo stimato 300 milioni: un salasso. Una soglia che era già stata oggetto lo scorso anno di una votazione popolare federale terminata con un no nazionale, ma un sì ticinese nella misura del 57,5%. Il meccanismo andrebbe inoltre ad incidere sul montante della spesa per i sussidi di Cassa malati, portando l’ormai famigerata RIPAM a 690 milioni. E c’è di più: l’adozione del modello suggerito determinerebbe un incremento strutturale della spesa pubblica, superiore persino all’attuale ritmo di crescita dei premi di cassa malati, con effetti finanziari insostenibili nel breve, medio e lungo termine. Semplicemente assurdo. Il problema dei premi malattia è strutturale ed è legato a molti fattori, ma soprattutto determinato dalle nostre scelte e abitudini: più costi significa più premi. Più premi equivale a più sussidi. Più sussidi significa più prelievo fiscale. Il Ticino non è ancora dotato per stampare moneta mentre la Svizzera fatica a riconoscere che il sistema Lamal ha fallito. Ma nessuno intende compiere neppure mezzo passo indietro.
La nuda e cruda realtà è questa, anche se ben sappiamo che nessuno la guarda, men che meno la difende e in nessun caso ammette che per pagare meno si deve chiedere, e pretendere, meno.
Le due iniziative e le poco convincenti alternative, ci mettono a nudo e ci pongono di fronte alle nostre responsabilità. Toccherebbe alla politica responsabile veicolare questo messaggio senza regalare sogni. Ma l’esperienza insegna che il termine “sacrificio” è stato cancellato dal vocabolario della politica. La leggerezza con la quale si affronta il tema delle finanze cantonali non promette nulla di buono e c’è da sperare (senza illudersi) che quanto messo nero su bianco dal Governo risvegli la politica dal torpore e dall’illusione di avere di più, dando di meno. Presentare un’iniziativa è fin troppo facile, raccogliere le firme non una «mission impossible», ma constatiamo una volta ancora che ragionare preventivamente sugli effetti che produrranno non conviene a nessuno.
Significativo è anche che il messaggio del Governo sia stato presentato un po’ «di corsa» rispetto all’usuale trafila politica-amministrativa. Ma è stata la stessa Commissione della gestione a sollecitare la presa di posizione dopo essere finita nelle sabbie mobili per effetto di un’ostinata testardaggine nel raddrizzare qualcosa che è nato storto. Vien quasi da dire: il solito pasticcio, un pasticcio alla ticinese.