Copresidenza tra moda, necessità e veri leader

Presiedere un partito non è più da anni la massima aspirazione per molti politici. Anzi, il fuggi-fuggi è evidente, al punto che gli uscenti spesso usano la frase «davanti alla mia porta non c’è la fila per sedersi su questa sedia». Assumere la leadership di una forza politica comporta pochi onori e molti oneri. Magari, in maniera più estemporanea che continuativa, si ottiene qualche successo: se si vince una votazione o si esce con il segno «più» da una tornata elettorale. Ma la buccia di banana è sempre lì insidiosa, lungo il percorso ad ostacoli. Al punto che, a fare un ruzzolone, basta un attimo. Dalle stelle alle stalle, insomma, il passo è breve.
Presiedere una forza politica, specie nell’era della comunicazione schizofrenica da social, non permette la minima disattenzione. Richiede una presenza totale, senza tregua alcuna e una prestanza cerebrale da centometrista, perché, in maniera decisamente perversa, conta solo chi arriva primo. Il secondo è già un perdente, bollato superficialmente con l’etichetta di incapace. È davvero dura la vita di queste persone che si trovano sottoposte a più fischi che applausi. La crisi dei partiti è anche figlia di questa situazione, che non conosce confini e prende piede in particolare nelle democrazie più avanzate. Una deriva che in Svizzera, trova pertanto un terreno particolarmente fertile. Sembra un processo irreversibile, una tendenza alla quale non si riesce e mettere freno. A studiare il fenomeno ci pensano anche dotti politologi, ma gli stessi sono tenuti a osservare la realtà, non sono dotati della bacchetta magica per cambiare il destino delle cose. Quello che è certo, di questo passo, è che non avremo più i partiti di una volta, i politici di una volta e i presidenti delle ere passate.
La fatica nel trovare un condottiero non ha colore politico, vale a sinistra, a destra e ora è realtà pure al centro, in quei partiti che un tempo erano la locomotiva del pensiero politico moderato, ma che sono finiti parzialmente inghiottiti dagli estremi dell’arco istituzionale. A livello nazionale il Centro ha penato tremendamente per la successione di Gerhard Pfister, al punto che solo dopo la clamorosa battuta in ritirata di diverse figure di primo piano che potevano apparire adatte o che erano state sollecitate dai «cacciatori di teste» della politica, senza troppo entusiasmo è stata accolta la disponibilità di Philipp Matthias Bregy. Ma ancora più clamoroso è quanto accaduto nelle ultime ore nel PLR svizzero che in autunno sarà orfano di Thierry Burkart. Il PLR del futuro non avrà un presidente, bensì una co-presidenza. I tentativi di trovare una figura forte di riferimento, una persona dotata di estro, personalità, fiuto politico e in grado di non scontentare le diverse sensibilità presenti nel partito, hanno fatto cilecca. E ora, di fronte a quello che è il fallimento della via principale, si sono mossi gli arrampicatori da vetro che tentano di decantare la forza, la lungimiranza e la modernità di avere due teste al comando del PLR: a mostrarsi sorridenti e rassicuranti sono il senatore glaronese Benjamin Mühlemann e la consigliera sangallese Susanne Vincenz-Stauffacher. Insomma, il PLR come il PS svizzero, condotto dalla coppia Cédric Wermuth-Mattea Meyer. In maniera decisamente artificiale, ma con l’ostentata supponenza della modernità progressista che va tanto di moda di questi tempi, si sottolinea il passo in avanti liberale-radicale di avere una donna pari grado al fianco di un uomo.
Questa, ai nostri occhi, appare più che altro una farsa, una sceneggiata per esaltare un’apertura che è solo di facciata. Semmai forte e coraggioso, nonché aperto e moderno, sarebbe stato dare tutto in mano a una donna. Il binomio parigenere sta diventando un cliché che non fa bene alle donne stesse. Allora, piuttosto, i due svizzerorientali si potevano dividere il quadriennio di presidenza. Sentirli poi esprimersi con banali frasi fatte sul perché in coppia e su questioni marginali della politica, non genera sensazioni di forza e sostanza. Poi la visione divergente sul dossier dei dossier, quello dei rapporti tra Svizzera e UE, genera interrogativi e dubbi.
La copresidenza, a livello federale, era stata sperimentata (senza successo) dai Verdi, mentre quella del PS dura ormai dal 2020 e nel fronte borghese il PLR funge da apripista. In Ticino esistono i co-coordinatori sul fronte ecologista e la coabitazione socialista tra Fabrizio Sirica e Laura Riget, confermata per un secondo biennio. Alla coppia, arrivata giovane-giovane in vetta, va riconosciuta la capacità di collaborare senza fare trapelare eventuali dissidi nella conduzione. E questo, nel litigioso mondo della politica cantonale, è già un successo. Ciò non toglie che i limiti, reali o potenziali delle copresidenze in genere, sono più numerosi rispetto ai possibili vantaggi. Ma l’orchestrina, in tutti i partiti, suonerà una musica rassicurante. Non tanto perché ci si creda davvero, bensì perché sta diventando una necessità in una politica sempre più povera di idee e di leader veri.