Gaza, il Ticino, gli ostacoli e il rispetto

Si riempiono le piazze, si fermano i trasporti pubblici, si sciopera in Italia, si bloccano le vie di transito. Il moto di protesta contro Israele, di solidarietà per Gaza e nello stesso tempo di sfida al sistema, ha assunto anche da noi dimensioni inimmaginabili fino a poche settimane fa, sulla spinta dell’azione marittimo/dimostrativa della Global Sumud Flottilla, che, come era immaginabile, si è incagliata nel blocco navale dell’esercito israeliano. La guerra in Medio Oriente ha raggiunto dimensioni importanti, specie in Europa, in un misto tra l’autentico dolore per le vittime innocenti ed inermi di questo conflitto e i molteplici motivi riconducibili a politiche interne, anche quelle lontane da quelle che potrebbero essere legittime e motivate prese di posizione nei confronti del proprio Stato in merito all’azione/inazione politica sulla situazione rovente e finanche aberrante. Non ci si nasconde dietro a un dito, non vediamo assoluti e lindi agnellini da una parte e spietati personaggi dall’altra. È un misto di violenza e dolore all’interno di una situazione umanamente inaccettabile.
In attesa che la proposta del pacchetto in venti punti per un cessate il fuoco promosso dal presidente statunitense Donald Trump possa portare venti di pace su una porzione del pianeta da sempre teatro di scontri e di morte, non ci resta che valutare quanto è alla nostra portata. Una presa di coscienza anche della nostra Svizzera, che nelle passate ore su X per il tramite del ministro degli esteri Ignazio Cassis ha comunque ribadito l’impegno per una soluzione a due Stati, sottolineando che il riconoscimento dello Stato di Palestina avverrà quando esisterà una «road map» chiara per una pace duratura e ha sollecitato Israele a revocare le restrizioni sui farmaci e sulle attrezzature mediche a Gaza, riaprendo il corridoio di evacuazione medica verso la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Insomma, la Svizzera, Stato neutrale e piattaforma di dialogo per litiganti o belligeranti, fa la Svizzera. Pretendere altro dal nostro Consiglio federale sarebbe illusorio. Poi, lo riconosciamo, la verve di quello che fa andrebbe calibrato in base alla situazione. Il dramma richiederebbe un atteggiamento più muscolare, ma, lo ribadiamo, la Svizzera fa la Svizzera nell’intento di non pregiudicare la sua mondialmente riconosciuta capacità di equilibrio ed equidistanza. In questo senso la frizione è un po’ scivolata con alcuni atteggiamenti agli albori della guerra tra l’aggressore russo e l’aggredito ucraino.
Intanto i moti dei pro-Pal non si fermano ad immagine di quanto visto in diverse città svizzere con migliaia di manifestanti a sfilare contro Israele con in pugno la bandiera palestinese. Tutto lecito, legittimo, finanche una sorta di moda che anche alle nostre latitudini genera un’artificiale suddivisone tra i buoni, che inneggiano alla Palestina e scendono in piazza, e i cattivi, che non manifestano e per questo vengono additati e apostrofati come amici di Israele, addirittura responsabili delle nefandezze del sangue che scorre nella Striscia. Un atteggiamento che respingiamo con determinazione a sostegno di una maggioranza silenziosa che non può essere ritenuta assente solo perché fisicamente non c’è. Chi può giudicare la coscienza altrui? Si tratta di un atteggiamento che denota arroganza da parte di masse importanti e che rispettiamo, ma che, lo ribadiamo, risultano minoritarie nel nostro Stato di diritto. Considerare quello per cui ci si batte pubblicamente il solo e incontestabile metodo non regge all’interno di uno Stato democratico.
Nelle scorse settimane a Bellinzona è stata esercitata violenza, verbale e non solo, nei confronti di liberi cittadini, ritenuti da altri benpensanti, nel torto perché volevano partecipare a una manifestazione pubblica in un contesto privato (su invito) per sentire il consigliere federale Ignazio Cassis esprimersi a proposito di Svizzera e UE. Alcuni non hanno potuto accedervi complice anche il lancio di liquidi e un cordone umano di «indignati». Giovedì sera poi il moto di protesta si è manifestato in centro a Lugano, spingendosi fino a Paradiso dove è stato bloccato lo svincolo autostradale di Lugano Sud, poi su, su fino in stazione impedendo a chi voleva transitare di farlo. L’intenzione, poi, era pure quella di bloccare i binari. Uno scenario scongiurato. Un po’ di colonna non è un dramma, è quotidianità, ma spingersi a travalicare la legalità, finendo nell’illegalità è inaccettabile, tanto più se lo si fa per una «giusta» causa richiamando a gran voce il diritto internazionale. A Gaza, dove, nessuno se lo ricorda, non sarebbe stato sparato un solo colpo, se il 7 ottobre 2023 non fosse avvenuta la più grave carneficina di cittadini ebrei dopo la Shoah, succedono cose ben più gravi di quelle viste da noi, e questo lo sappiamo tutti. Non impediamo di manifestare a chi ci crede, ma queste persone dimostrino almeno di rispettare chi li rispetta e di non ostacolare chi non li ostacola.

