L'editoriale

Il Cremlino in difficoltà e la roulette russa

Per giustificare le sue azioni, Putin ama ricordare gli interventi all'estero, senza mandato dell'ONU, condotti dall'esercito americano in passato — Ma ciò non può servire da scusante a Mosca per l’intervento armato del tutto arbitrario lanciato contro l’Ucraina
Osvaldo Migotto
22.09.2022 06:00

Vladimir Putin nel discorso tenuto ieri alla nazione ha annunciato la mobilitazione di 300 mila soldati e ha minacciato l’impiego di tutti i mezzi a sua disposizione per contrastare «l’aggressiva politica anti-russa dell’Occidente». Non solo, l’uomo forte del Cremlino ha pure dato il suo pieno sostegno ai filorussi che nei prossimi giorni intendono convocare dei referendum farsa nei territori ucraini sottratti con la forza al controllo di Kiev, nei quali verrà chiesta l’adesione delle province ribelli alla Federazione russa. Queste ultime mosse del presidente russo sono state interpretate da alcuni analisti politici come la reazione disperata di un leader in difficoltà che non intende perdere la faccia nella guerra che ha scatenato contro l’Ucraina lo scorso febbraio e che non sta dando i frutti sperati.

La crescente fornitura di armi sofisticate a Kiev, da parte degli USA e di diversi Paesi europei, nonché l’addestramento offerto da alcuni Paesi NATO a un certo numero di soldati ucraini ha infatti cambiato gli equilibri sul campo a favore dell’Ucraina, costringendo l’esercito russo a vistose ritirate. Quando la scorsa settimana al vertice di Samarcanda dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, Cina e India avevano invitato Putin a porre fine alla guerra in Ucraina, lo «zar» aveva cercato di rassicurare i suoi partner asiatici affermando: «Vogliamo porre fine al conflitto il prima possibile, ma è Kiev che non negozia». In realtà per Putin negoziare significa imporre le sue condizioni. All’inizio del conflitto Kiev si era detta disposta ad assumere un ruolo neutrale, impegnandosi a non aderire alla NATO (ed era stata proprio la prospettiva di una futura entrata dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica ad aver spinto la Russia ad invadere il Paese confinante), pur di porre fine alle ostilità. Ma questa offerta di compromesso al Cremlino non era bastata, in quanto i piani di Putin, come confermato dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina, puntavano a rovesciare il Governo di Kiev.

La retorica di Mosca dell’«operazione speciale» volta a «denazificare» l’Ucraina, ha mostrato sul campo quanto pretestuosa fosse. A mostrare comportamenti che riportano alla memoria le barbarie dell’epoca nazista sono infatti stati proprio i militari russi che oltre a bombardare città, scuole e ospedali hanno freddato e torturato numerosi civili. Per non parlare delle deportazioni di cittadini ucraini verso la Russia. Fosse comuni e luoghi di tortura sono stati visitati da decine di giornalisti, da ONG e da politici provenienti da diversi Paesi. Tuttavia Putin e la sua cricca respingono spudoratamente ogni accusa e liquidano tutto come propaganda di guerra. Una buona dose di propaganda è probabilmente presente su entrambi i fronti, ma Mosca non ha mai mostrato un interesse a verificare se le proprie truppe hanno commesso crimini di guerra.

Le regole del diritto internazionale, richiamate più volte proprio in questi giorni a New York, in occasione della 77. Assemblea generale delle Nazioni Unite, per il Cremlino non sembrano più valere. In realtà il regime russo non ha mai rispettato le regole del vivere comune neppure in patria. Gli oppositori politici vengono incarcerati o, nella peggiore delle ipotesi, eliminati. Il dissenso interno non è tollerato. Lo abbiamo visto ieri, per l’ennesima volta, con i numerosi arresti tra i giovani russi che hanno avuto il coraggio di scendere in strada a manifestare la loro contrarietà alla mobilitazione parziale decretata dal regime. E se migliaia di russi hanno già lasciato il Paese dopo l’avvio dell’invasione dell’Ucraina lo scorso febbraio, e ieri dopo l’annuncio della mobilitazione parziale, ciò avviene perché questa è l’unica via di salvezza per chi si oppone all’imperialismo di Putin, camuffato da «difesa degli interessi russi».

Va poi notato che l’ultima mossa del presidente russo rischia di isolarlo ulteriormente sul fronte internazionale. La Cina, ad esempio, pur condividendo la battaglia ideologico-economica del Cremlino contro un mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti, ieri dopo il discorso alla nazione tenuto da Putin è tornata a ribadire la necessità di porre fine alla guerra in Ucraina. Il presidente statunitense Joe Biden, dal canto suo, ha detto di prendere seriamente la minaccia di Mosca di usare tutte le armi a sua disposizione, per difendere gli interessi russi. Ma gli USA, come altri Paesi occidentali, hanno rammentato a Mosca i rischi legati a un conflitto nucleare, dal quale nessun Paese uscirebbe vincitore.

La grande incognita è cosa stia frullando in queste ore nella mente dello «zar» che per giustificare il suo intervento in Ucraina ama richiamare alla memoria i numerosi interventi all’estero, senza mandato dell’ONU, condotti in passato dall’esercito americano. Interventi che, come le guerre in Iraq e in Afghanistan, giusto per fare un paio di esempi, hanno causato morte e distruzione, destabilizzando tali Paesi anche dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Ma ciò non può servire da scusante a Mosca per l’intervento armato del tutto arbitrario lanciato contro l’Ucraina. Una guerra che sta avendo ripercussioni negative su buona parte dell’economia mondiale. Ora Putin, da cattivo perdente, cerca la rivincita mobilitando migliaia di soldati e minacciando di nuovo l’impiego dell’atomica. Per Mosca un pericoloso gioco d’azzardo, quasi una roulette russa nella quale non si sa a chi toccherà il colpo in canna.

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