L'editoriale

La BNS frena sui tassi ma non sul rincaro

Un altro quarto di punto all’insù è quello che si aspettavano analisti e mercati. E invece no
Generoso Chiaradonna
21.09.2023 22:00

Un altro quarto di punto all’insù è quello che si aspettavano analisti e mercati. E invece no, la Banca nazionale ha sorpreso decidendo di prendersi una pausa nel ciclo di aumento dei tassi d’interesse iniziato più di un anno fa. In questo lasso di tempo l’istituto di emissione ha aumentato di 250 punti base il tasso guida sul franco passando dal -0,75% in vigore per più di sei anni all’1,75%. Un livello a cui la Banca nazionale remunera la liquidità delle banche depositata presso di lei che comunque non si vedeva da quasi due decenni. Nel settembre del 2008, pochi giorni dopo il crollo della Lehman Brothers, la direzione di allora della BNS, nonostante i rumori del crollo finanziario statunitense fossero giunti fino in Svizzera, non mutò di una virgola la sua politica monetaria restrittiva lasciando invariato il suo tasso di riferimento ancorato a quello Libor a tre mesi tra il 2,25% e il 3,25%. Dal mese successivo l’atteggiamento della BNS, come quello delle principali banche centrali, mutò radicalmente con continue iniezioni di liquidità nel mercato e tagli ai tassi guida che progressivamente scendevano fino ad arrivare prossimi allo zero o addirittura ben al di sotto come fu per il franco. Con la pausa presa dalla BNS, che segue quella decisa mercoledì sera dalla Federal Reserve ed è contemporanea a quella della Bank of England, non siamo però di fronte a una svolta della politica monetaria. La dinamica inflazionistica è ancora un osservato speciale. Secondo Thomas Jordan i rischi inflazionistici sono ancora elevati anche se formalmente l’indice dei prezzi al consumo è rientrano nella fascia considerata dalla BNS, ovvero tra lo zero e il 2% annuo. Ad agosto su base annua era dell’1,6%. Quindi la lotta all’inflazione, per usare un termine bellico molto abusato ma improprio, proseguirà ma con altri mezzi: non più - per ora - un ulteriore inasprimento della politica monetaria aumentando il costo del denaro, ma con l’intervento sul mercato dei cambi per cercare di rafforzare ancora di più il franco svizzero rispetto alle principali valute internazionali. Il bilancio della Banca nazionale svizzera è ricco di riserve in divise estere. Si privilegerà quindi la vendita di queste riserve per moderare le aspettative inflazionistiche di imprese e famiglie. Il rischio insito in questa scelta è quello di indebolire gli esportatori, ma nel contempo si favoriscono gli importatori.

Le stime dell’OCSE e le ultimissime della SECO, la Segreteria di Stato all’economia, vedono un’inflazione ancora superiore all’obiettivo (tra lo zero e il 2%) per quest’anno: +2,2% per la SECO e la BNS e addirittura il +2,4% per l’OCSE. È stato scritto più volte su questo giornale che la mera misura dell’inflazione non dice molto della perdita del potere di acquisto di salari e pensioni. Questi ultimi sono falcidiati da tempo da spese obbligatorie come affitti, premi di cassa malati e costi dell’elettricità. Tutte voci su cui la politica monetaria può poco o nulla. All’inizio dell’anno prossimo, oltre a questi rincari, famiglie e imprese dovranno assorbire anche quello dell’aliquota massima dell’IVA: dall’attuale 7,6% all’8,1%. Una misura quest’ultima che servirà a finanziare l’AVS, accettata in votazione popolare lo scorso settembre. Sono però tutte maggiori spese che in qualche modo sottrarranno redditi al consumo e al risparmio e che non aiuteranno la crescita economica.

Ma il cambio di marcia della Banca nazionale può essere letto anche come una mossa per evitare di mettere troppa pressione sul credito, soprattutto quello immobiliare e tenere fede all’altro suo mandato che è la stabilità finanziaria. Negli anni scorsi molti investitori istituzionali (assicurazioni e casse pensioni) hanno puntato, per mancanza di alternative e attirati dai tassi di finanziamento molto bassi, sul settore immobiliare. Spingere troppo sul pedale del costo del denaro fa correre il rischio di far deragliare qualche investimento immobiliare. E in una fase di forte rallentamento dell’economia europea e globale, è meglio non aggiungere altri possibili focolai.