L'editoriale

La gioventù rubata e la fiducia tradita

Il caso dell'ex funzionario del DSS e quelli tardivamente venuti alla luce nella Chiesa - L'indelebile traccia sull'abusato e il buonismo nei confronti dell'abusatore
Gianni Righinetti
20.09.2023 06:00

Con un atto politico-amministrativo sostanziato da sei raccomandazioni a carattere operativo, strategico e preventivo il Gran Consiglio ha archiviato (e nessuno fortunatamente mai potrà bruciare e fare sparire il fascicolo) uno dei più vergognosi e riprovevoli casi a carico di un dipendente del Cantone e, moralmente, anche dell’Istituzione ticinese. In sostanza con questa mossa c’è l’ambizione di fare in modo che fatti odiosi come quelli che hanno visto agire in maniera vergognosamente subdola e poi viscidamente concreta l’ormai famoso «ex funzionario del DSS» non abbiano più a riprodursi. In realtà nessuno può mettere la mano sul fuoco e dare garanzie: la perversione umana non ha confini e trova terreno fertile laddove il mondo degli adulti, ignora, deride, minimizza trovando attenuanti, ma, soprattutto si rende protagonista di autentica omertà. Esattamente come quella che ci indigna perché messa in atto nel tessuto mafioso. Il personaggio, uomo dal punto di vista genetico ma non da quello dell’integrità che si vorrebbe come virtù umana, ha goduto per anni dell’impunità che lo ha reso, esattamente come avviene per un capo mafia, forte, adulato, indiscutibile e intoccabile.

Quel mostro, che andava stroncato, è stato coltivato dal menefreghismo che non ha colto i campanelli d’allarme suonati in più occasioni da ragazzini inermi per situazioni e atteggiamenti manifestati dalla mano di chi rappresentava il Cantone e al quale era attribuito al settore dell’Ufficio dei giovani, della maternità e dell’infanzia, regolato dalla Legge giovani. Non la buvette della festa campestre. E in quel ruolo il suo compito principale era la progettazione dell’esecuzione e della gestione del Forum cantonale dei giovani. Un brivido corre lungo la schiena. Solo l’esperienza ci dirà se gli airbag che oggi sono stati posati dal Parlamento potranno scongiurare il peggio ed evitare un nuovo caso di questa portata, con tanto di giovani feriti e violati nella loro intimità e nel loro naturale processo di maturazione, compresa quella sessuale che, anche nella società del «tutto subito» e «tutto facile» dei social, rimane un passo importante del processo di crescita. Maturità che è compiuta e naturale quando prende forma nella spontaneità affettiva, non nel sopruso da parte di un adulto che ha solo un obiettivo: soddisfare il proprio ego perverso usando chi non si può difendere ed è più facilmente ricattabile. Il caso ha voluto che il dibattito di ieri in Gran Consiglio arrivasse a pochi giorni dallo scioccante rapporto sui fatti di violenze e pedofilia all’interno della Chiesa, per opera di prelati e membri del clero.

Unitamente alla prassi, adottata fino a vent’anni fa anche in Ticino, di bruciare le carte che attestavano questo genere di schifezze perpetrate da chi prometteva di fungere da guida spirituale, confidente e persona di fiducia. La sola consolazione (seppur magra) è che ora molto è stato portato dalle segrete stanze ecclesiastiche, dove i fatti sono accaduti, alla luce del sole. Le logiche perverse del passato non sono più replicabili e molti sono stati i membri della Chiesa che hanno provato vergogna per l’Istituzione, mentre altri hanno tentato di mettere in termini ecclesiastici di fede, perdono e pentimento ciò che ha un solo giudice: la giustizia penale dello Stato che in Svizzera merita una revisione perché oggi per abusi su minori è troppo blanda, troppo buona, troppo ingiusta. E, tornando alle dichiarazioni di alcuni uomini della Chiesa, è troppo facile appellarsi al Signore con la frase «chi ha abusato dei giovani ne risponderà davanti a Dio». Aggiungiamo poi la questione della responsabilità che va tanto di moda. Abbiamo sentito diverse personalità della Chiesa assumersi la responsabilità. Ma è tutto troppo tardivo, poco credibile, perché la responsabilità la può assumere colui che è responsabile, non terze persone. Altrimenti diventa una responsabilità di comodo e di facciata.

Si diceva della fiducia ed è uno degli aspetti che più fanno male ed indignano. I ragazzi e le ragazze abusati nei confronti dell’abusatore avevano fiducia, lo stimavano, lo seguivano, non lo contestavano, per loro il più delle volte era una guida. Il sentimento spontaneo ed innocente è stato così tradito da un uomo (prete, parente, allenatore o docente tanto per richiamare le figure più ricorrenti). Ben vengano da questo punto di vista atti come quelli lanciati da Fiorenzo Dadò (Il Centro) e Sabrina Aldi (Lega) per sollecitare il Parlamento federale a dare una stretta, a chinarsi sui paradossi della nostra legislazione: vessatoria, ad esempio, con chi sgarra sulla strada e troppo tollerante con chi viola ciò che di più personale abbiamo, la nostra intimità sessuale e cerebrale. Il tempo, purtroppo, non cancella una violenza sessuale, rimane per sempre nella memoria della vittima. Lo stesso non lo si può dire nei confronti del carnefice.