L'editoriale

L'immobilismo strisciante e il piatto indigesto

La manovra per risanare i conti e la politica che scivola sempre negli stessi errori - Ripartire con uno stile politico incline alla moderazione e al realismo
Gianni Righinetti
19.10.2023 06:00

Quando si agisce può accadere di ottenere il risultato cercato, ovvero fare un passo avanti, magari anche di vincere. Oppure può accadere l’esatto contrario. Perché fare significa sempre rischiare. Per contro quando si rimane con le mani in mano, timidi e impauriti nel mettersi in gioco, si può essere certi che non si compiranno passi avanti, non si resterà fermi al palo, ma si arretrerà. Poi occorrerà recuperare. Insomma, l’immobilismo strisciante non paga, presenta sempre il conto e serve un piatto indigesto, o addirittura avariato dal trascorrere inesorabile del tempo. Quella descritta è un po’, per sommi capi, la storia della politica ticinese con i suoi corsi e ricorsi storici. Sempre, dopo un sonno profondo, si risveglia bruscamente accorgendosi che «c’è da fare» perché quello che appariva come un innocuo fuocherello, è ormai un vasto incendio. I conti del Cantone per il 2024 e il pacchetto di misure di riequilibrio finanziario rispondono perfettamente alla logica del perverso meccanismo che con cadenza ciclica si ripete: cambiano le cifre, cambiano le persone, ma resta la sostanza delle cose. Il copione è rispettato e anche i prossimi passi sono già scritti. Il Consiglio di Stato, letteralmente immobile nell’osservare il peggioramento delle finanze cantonali un anno fa, oggi richiama tutti gli attori usando in sequenza termini quali «dialogo, collaborazione e senso di responsabilità» e lo dice nella consapevolezza di seguire il copione della drammatica-commedia che seguirà. Intanto, per direttissima sono già piovute le prime reazioni con il solito comun denominatore: dire no, opporsi, indignarsi, usando sempre e comunque le parole ad effetto del gergo politico nostrano, che con il trascorrere del tempo hanno conosciuto inflessioni d’importazione. Vien da dire che tutto il mondo è paese e che non c’è nulla di nuovo in questo primo (e pure tardivo) scorcio d’autunno. Al Governo va certamente mosso il rimprovero di aver atteso troppo a lungo prima di prendere in mano il timone, ma ha almeno un’attenuante. In Ticino esiste una regola non scritta che dice che le mosse si fanno nel primo biennio della legislatura, poi si entra nella crescente onda della campagna elettorale e nessun attore della politica (in primis i parlamentari e le segreterie dei partiti) desiderano essere distratti dall’unica corsa e battaglia che conta: quella per il cadreghino. Pertanto, sarebbe poco onesto attribuire l’immobilismo unicamente al Governo, diremmo piuttosto che si tratta del frutto di un tacito accordo che regge ormai da anni e che non necessita neppure di una delle troppe (e talvolta inutilmente ridondanti) parole che ci serve la politica con il piatto indigesto che oggi abbiamo sul tavolo, senza che dal buffet vi sia altro di migliore, gradito a tutti, per soddisfare l’improcrastinabile necessità di risanare i conti.

Sia ben chiaro che nessuno gioisce per i sacrifici che saranno chiamati a fare i dipendenti pubblici, men che meno per gli interventi (si tratta di limature) sui sussidi per i premi della Cassa malati e non piace neppure il posticipare misure d’ordine fiscale. Con queste ultime che, per giunta, concernono una delle più sane e produttive voci nel bilancio dello Stato, che non conosce mai flessione o stanchezza, in barba alle Cassandre che vedono nella fiscalità il male profondo delle finanze cantonali. Intanto ci permettiamo di chiedere a chi si sta scervellando alla ricerca di soluzioni migliori di quelle oggi sul tavolo che, o ha davvero in mano qualcosa di eccezionale e geniale, o faccia il piacere di tacere. Perché rischiare di finire per constatare magari solo tra molti mesi quando ci troveremo confrontati con un estenuante braccio di ferro alle urne, che il meglio è nemico del bene, potrebbe farci pentire amaramente, e una volta ancora, del tempo perduto.

I conti cantonali soffrono di tanti mali datati, ad esempio la crescita smisurata dell’apparato statale, come pure di molti virtuosismi ticinesi, come una socialità performante al punto che oltre San Gottardo è nota e in uso la definizione di «Tessiner Modell». Non sogniamo certamente una «revisione dei compiti dello Stato» (la parolaccia dell’ultimo trentennio), men che meno l’ormai risibile «patto di Paese» che mai, nella forma descritta, in Ticino ci sarà. Auspichiamo però l’insorgere di uno stile politico incline alla moderazione e al realismo, faticando tuttavia a identificare gli attori protagonisti per assumere, con credibilità, questo ruolo.

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