Lo stadio che nasce tra luci e ombre

Una città che non si rinnova invecchia. Una città sprovvista di lungimiranza è destinata a vivere nel passato. La città sul Ceresio non è più la Lugano da bere dei fasti d’un tempo quando la piazza finanziaria era fiore all’occhiello e simbolo di benessere, in certi casi anche di opulenza, è una Grande Lugano con locomotive e vagoni, talvolta pesanti da trainare. Mentre si attendono guizzi realistici e realizzabili per il fatiscente comparto del Campo Marzio con l’inguardabile Conza, apprezziamo la parte piena del bicchiere. Lugano Arte e Cultura, il LAC, ha compiuto dieci anni e oggi a nessuno verrebbe in mente di poterne fare a meno. Intanto siamo al rush finale per il completamento dell’Arena sportiva, uno stadio funzionale, moderno e divenuto realtà solo grazie alla joint venture tra pubblico e privato. Senza questo abbraccio oggi saremmo ancora immobili e senza speranza, sognando un porto migliore, quello che ora possiamo toccare con mano. Il Municipio da solo non avrebbe potuto lanciarsi e imprenditori pronti a fare tutto in proprio non se ne sono manifestati. In fondo è più giusto e moderno così. La città da sola, è bene ed onesto ricordarlo, non avrebbe potuto permettersi tutto questo. E, d’altronde, uno spartito suonato da singoli imprenditori per quella che è, e deve rimanere, un’opera pubblica, avrebbe fatto storcere il naso anche a noi. Una città senza uno stadio vero, non è una città, e questa opera non è solo sinonimo di novanta minuti di calcio che osiamo sperare sempre più di qualità nazionale e, perché non sognare, pure internazionale.
Guardiamoci intorno e rendiamoci conto che un progetto così non potrà che portare progresso, gioia e vita. Perché lo sport fa pulsare le vene, perché quel contenitore potrà anche ospitare altro, non solo un pallone, ventidue giocatori e un pubblico appassionato. Un’opera che, è storia del 2021, è passata anche dalle forche caudine di uno spinoso voto popolare. Oggi possiamo dire che, alla fine, a legittimare il nuovo gioiellino di Cornaredo sono stati anche i guardiani, ma molto brontoloni ed eterni insoddisfatti, del Movimento per il socialismo con il loro referendum che mirava a distruggere sul nascere l’Arena sportiva. Il sì della cittadinanza nella misura del 56,8% è merito anche di quella raccolta delle firme. La democrazia è qualcosa di stupendo, perché una volta deciso, si volta pagina. O, almeno, così dovrebbe essere. Nei fatti capita però, ed è stato anche così per il PSE, che di cattivi perdenti se ne trovino sempre di più. Alcune modifiche in corso d’opera di un progetto complesso, nella fattispecie per il Palazzetto dello sport, hanno fatto inalberare chi sogna solo ruspe per abbattere e non mattoni per costruire. Finanche a livello politico, in Municipio, è stato insinuato il sinistro e antipatico presagio della disonestà con l’indice puntato verso il collegio. E, siamo pronti a scommetterci, i neinsager martelleranno anche quando tutto quanto ruota attorno al nuovo comparto di Cornaredo pulserà di vita come un sano cuore pronto ad irrorare un’intera regione: di sport, di entusiasmo e di futuro. Tutti elementi sani per chi nel corso della sua esistenza sa anche pensare in positivo, capace di un sorriso e non solo di vivere ripiegato su sé stesso, in preda a perenni frustrazioni. Fin qui la faccia felice e sorridente che deve rendere orgoglioso l’intero Ticino. Ma c’è anche una grande pecca: sarà nuovo lo stadio, saranno funzionali i suoi servizi all’interno, ma resterà dannatamente vecchio, inadeguato e sottodimensionato quello che si troverà attorno a lui. Vie di transito insufficienti per auto, mezzi pubblici, mobilità lenta e pedoni. E posteggi sottodotati, finanche inesistenti quelli strettamente dedicati all’Arena. Questa è l’altra faccia, quella che chiama in causa il settore pubblico, il Cantone e la città in primis.
Tutto è letteralmente in alto mare a conferma, se ve ne fosse ancora bisogno, della difficoltà intrinseca al Ticino di cambiare una virgola, una curva, un marciapiede. Il groviglio delle competenze e la ricorsite acuta (tipica patologia ticinese) ci mostrano la fragilità e una debolezza disarmante di qualcosa che non ha un unico responsabile nei confronti del quale puntare l’indice e magari da chiamare alla cassa, ma che possiamo, ahinoi, sintetizzare con una pecca del sistema-Paese. E questa realtà si riverbera in molte opere realizzate ma non strutturalmente ineccepibili in quanto a praticità d’accesso e posteggi. Come d’altronde era già stata la Resega, oggi Cornèr Arena, inaugurata nel lontano 1995 e invecchiata con quelle pecche. Fatto lo stadio non è tempo per sedersi, per il comparto di Cornaredo sono state avanzate puntuali promesse. Che vanno mantenute senza tergiversare.

