L'editoriale

Sempre più atei, salvo miracoli

Ognuno in Svizzera è libero di professare e praticare la propria religione, ma il paradosso è che c'è sempre meno religione
Paride Pelli
29.01.2024 06:00

Oggi più che mai nella storia della Svizzera, cattolici, riformati, musulmani, ebrei, buddisti e chi ne ha più ne metta sono liberi di professare e praticare la propria religione. Il paradosso è che c’è sempre meno religione. Sabato scorso abbiamo pubblicato un approfondimento da cui si evince una situazione con numeri in caduta libera. Siamo passati da un 1% di residenti senza religione nel 1970 all’attuale 34%, in soli cinquant’anni. Una crescita, o meglio una decrescita, vertiginosa, se si pensa che i tempi «dello spirito» e della religione, in positivo come in negativo, non sono certo quelli fulminei dello sviluppo tecnologico, dove tutto viene inventato o abbandonato a seconda di esigenze più pressanti e molto più materiali. Siamo di fronte, di fatto, alla coda di una lunga crisi che – salvo miracoli, è il caso di dirlo – porterà a una Confederazione non tanto pluriconfessionale quanto inesorabilmente atea. Prima di fare una riflessione, vediamo qualche numero. La popolazione senza religione (34%) ha superato quella dei cattolici (32%). Gli evangelici riformati erano il 50% in passato, oggi sono il 20,5%. La fascia più ampia di coloro che si dichiarano senza religione è quella dei giovani dai 25 ai 34 anni (42%), un dato significativo. Salgono solo, dai minimi degli anni Settanta al 13% di oggi, i fedeli di «altre appartenenze religiose».

L’Ufficio federale di statistica ci ha dato alcune spiegazioni a queste tendenze generali, ma ci sembrano quantomeno parziali: nelle grandi città la religione non costituirebbe più una risposta alle esigenze spirituali delle persone di oggi; l’istituzionalizzazione del cristianesimo in Europa, al punto in cui è arrivato, non favorisce l’arrivo di nuovi credenti; le Chiese sono diventate troppo autoreferenziali e si interrogano in continuazione su cosa non va bene «in se stesse»; il buon numero di scandali di abusi sessuali scoppiati negli ultimi anni, sia tra i cattolici che tra i riformati, ha fatto il resto. Tutto vero. Anche nel nostro Ticino la Chiesa cattolica ha dovuto fronteggiare, pure di recente, alcuni scandali circa abusi sessuali perpetrati decenni fa e documentati dal Rapporto di Zurigo. Lo ha fatto con trasparenza, mettendosi a disposizione e fornendo ancor più che in passato la documentazione necessaria per una maggior chiarezza. I media ticinesi hanno capito e hanno trattato il caso con obiettività, come una vicenda di cronaca (purtroppo drammatica, ma di cronaca) e non hanno messo sotto accusa la stessa istituzione. Altrove, di fronte a simili reati, i media hanno esplosioni di sensazionalismo che non fa del bene né alle vittime né alla società, Chiesa compresa. Ma al di là degli scandali e della disaffezione alla religione che la modernità, da ormai due secoli, incentiva, dal nostro (laico) punto di vista c’è dell’altro. Ultimamente le Chiese, la cattolica forse in misura maggiore di quella riformata, si sta occupando davvero di troppe cose. Chi lavora nelle notizie vede il Vaticano, così come realtà relative più piccole, esprimersi ogni giorno su transizione ecologica e mobilità elettrica, intelligenza artificiale e gender, questioni mediche e questioni artistiche. Tutto legittimo e persino doveroso, ci mancherebbe. Così facendo, la Chiesa propone la sua visione sul mondo, la sua etica, il suo catechismo ed è ovviamente libera di farlo, esponendosi purtroppo, come non di rado capita, anche a fraintendimenti. Ma la sensazione è che manchi qualcosa: i giovani, quelli che nelle statistiche UST sono i più disaffezionati alla religione, sentono già parlare di questi temi in famiglia, a scuola, tra amici, sui media, sui social. La Chiesa ha un tesoro ricchissimo di spiritualità, che ci ha accompagnato per secoli e che ha contribuito in modo sostanziale alla storia del mondo: di questo, a malincuore, si sente molto meno parlare. Ed è un peccato.

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