L'editoriale

Un Berset indebolito nell'anno elettorale

Ci sono coincidenze fra la trasmissione e l’apparizione delle informazioni sul Blick a stretto giro di posta e tre domande da cui dipende il destino politico del capo del DFI
Giovanni Galli
18.01.2023 06:00

Le rivelazioni sui rapporti fra l’ex addetto alla comunicazione di Alain Berset e il direttore della Ringier hanno dato corpo ai sospetti che ci fosse un filo diretto fra il Dipartimento dell’interno e il «Blick». Nella fase acuta della pandemia, il quotidiano zurighese aveva dato più volte notizie in anteprima sulle misure che il Consiglio federale aveva già deciso o che intendeva adottare. Berset si è detto all’oscuro di tutto, ma la sua posizione ne esce comunque indebolita; anche perché nei mesi precedenti era già finito al centro dell’attenzione a causa di vicende private (il tentativo di ricatto da parte di una donna e i relativi attacchi politici per l’uso di risorse pubbliche, oltre a un atterraggio forzato in Francia mentre era ai comandi di un velivolo monomotore) per le quali ha pagato il conto, con un risultato assai mediocre in occasione della sua elezione alla carica di presidente della Confederazione.

Dall’indagine penale per violazione del segreto d’ufficio (in cui Berset non è coinvolto) è emerso che c’è stato un fitto scambio di e-mail contenenti materiale confidenziale fra l’ex portavoce Peter Lauener e l’editore Marc Walder, ma nessuna prova di un nesso diretto con la loro pubblicazione. Ci sono invece coincidenze fra la trasmissione e l’apparizione delle informazioni sul giornale a stretto giro di posta. Quanto basta per mettere sotto pressione il consigliere federale, il cui destino politico dipende dalla risposta a tre semplici domande: Berset non era davvero al corrente di queste comunicazioni (si parla di 180 messaggi)? Lauener, che segue Berset come un’ombra da più di dieci anni, ha agito di sua iniziativa come zelante spin doctor o per conto del suo principale? Ci sono stati accordi con la casa editrice?

Un sospetto, emerso nella polemica, è che in cambio di informazioni in esclusiva e trattate in modo benevolmente acritico, a Berna qualcuno si sia servito della stampa «scandalistica» per preparare il terreno alle misure restrittive, influenzando favorevolmente lo stesso Consiglio federale. La politica vuole fare chiarezza e visto che Berset conta anche molti nemici c’è da aspettarsi, per di più nell’anno elettorale, che la presa non sarà mollata tanto facilmente. La settimana prossima, le Commissioni della gestione del Parlamento decideranno se e come procedere, visto che di mezzo ci sono anche inchieste penali. In ogni caso non sarà facile. Fra dinieghi e possibili interventi giudiziari sull’uso del materiale sequestrato a Lauener, il caso rischia di trascinarsi a lungo. Ma, come insegna il caso Kopp, un conto è l’aspetto legale – l’ex consigliera federale, costretta alle dimissioni, venne poi assolta in sede giudiziaria – un altro è il giudizio politico, che obbedisce ad altre dinamiche. Accanto a chi si è mostrato molto prudente, rimandando le conclusioni alla fine delle indagini, c’è chi ha già detto che la difesa di Berset non è plausibile. E che se, al contrario, non emergesse nulla di compromettente, significherebbe che il consigliere federale non aveva sotto controllo il suo stato maggiore.

Per Berset, che rischia di finire sulla graticola, l’anno presidenziale si apre sotto cattivi auspici. La vicenda, tuttavia, per le sue implicazioni rischia di mettere in discussione anche la fiducia nell’indipendenza dei media, già contestata da più parti durante la pandemia. Il «Blick» ha difeso la sua autonomia, dicendo che le anticipazioni erano tutta farina del suo sacco. In effetti, non ci sono pistole fumanti, ma certe strane coincidenze inducono a sospettare che dietro ad alcune esclusive ci sia più copia/incolla che suole consumate. I media si nutrono di notizie e a volte anche di fughe di notizie (di cui tutti, nessuno escluso, approfittano), che in certi casi possono persino essere necessarie al buon funzionamento della democrazia. Ma se viene meno l’imprescindibile distacco critico e si diffonde il sospetto di collusioni, la loro credibilità è la prima a risentirne.   

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