L'editoriale

Il clima, la Svizzera e la reazione benvenuta

Dopo la sentenza della CEDU la politica federale si distanzia - Invasioni di campo non gradite
Gianni Righinetti
13.06.2024 06:00

Il fanatismo e gli acquazzoni non sono amici della ragione, della ponderazione e del ragionamento tipicamente elvetico. Questo vale anche in materia di clima, un tema per il quale l’impegno è sempre più trasversale nella politica e nella società. Goccia dopo goccia stiamo scavando la roccia dell’indifferenza che ha contraddistinto le precedenti generazioni quando il tema non era sentito, ma anche dei pregiudizi e sposando un modo di vivere e di comportarci sempre più in linea con l’autoconservazione, piuttosto che percorrere la strada a fondo cieco dell’autodistruzione. L’attenzione per il mondo in cui viviamo non appartiene a nessuno in particolare, è un bene e una responsabilità collettiva. Non è patrimonio esclusivo di chi si incolla sulle strade, di chi imbratta opere d’arte e di chi ulula alla ricerca di attenzione mediatica. E la Svizzera, come pure gli svizzeri, non prendono lezioni in materia da giudici stranieri, nemmeno dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). L’eccessiva foga delle «Anziane per il clima» nel ricorrere a Strasburgo ha indotto i giudici di quella corte ad andare decisamente lunghi, compiendo un vero e proprio autogol. La decisione di condanna della Svizzera per «inazione» è semplicemente ridicola perché è andata a colpire un Paese virtuoso che i diritti umani li rispetta eccome. E li rispetta anche in senso climatico (ammesso che la materia sia parte integrante del gran calderone dei diritti umani) e lo fa con quanto di più equo e democratico esista. Le decisioni del popolo sovrano. Insomma, una sentenza che ha fatto tanto rumore per nulla, che ha indotto tutti a parlare male della Svizzera senza cognizione di causa, ma solo perché dare contro al nostro Paese a qualcuno provoca sempre un certo godimento.

Ed è decisamente benvenuta la reazione della politica, dei rappresentanti di noi cittadini nelle istituzioni. Entrambe le Camere a Berna, prima il Consiglio degli Stati e ieri il Consiglio nazionale, hanno infatti bocciato la sentenza e persino un sondaggio pubblicato da Tamedia dice che il 56% degli svizzeri reputa che quella decisione debba essere ignorata. In realtà la politica non chiede al Consiglio federale di restare silente, ma di attivarsi per fare conoscere tramite i canali istituzionali la posizione della democrazia elvetica trasformandola in una posizione ufficiale del Consiglio federale.

In particolare, al Consiglio degli Stati la questione è stata anche di carattere giuridico e non esclusivamente una naturale reazione da parte di chi sa bene, ed è comprovato, che per il clima la Svizzera fa tanto, pur essendo un piccolo puntino a livello planetario. La CEDU con questa sentenza rischia invece fortemente di trovarsi delegittimata nella sua funzione e competenza sovranazionale, portando acqua al mulino di chi la reputa inutile e vorrebbe vedere la Svizzera liberarsi da quello che appare come un doppio cordone ombelicale: il diritto interno, sulla base delle nostre leggi e quello esterno, che risponde a logiche che talvolta sono distanti da quelle della nostra emanazione legislativa, della volontà elvetica. Si badi bene: non significa che la CEDU era tenuta a una sentenza politicamente gradita e digeribile, bensì che non si spingesse oltre ai propri ambiti di competenza. Quello che la dichiarazione delle due Camere, giustamente, definisce «attivismo giudiziario» travalica i limiti dello sviluppo del diritto concessi a un tribunale internazionale. Perfettamente sottoscrivibile è la dichiarazione del consigliere nazionale del PLR Simone Gianini: «Il perseguimento degli obiettivi climatici è un compito politico, non della CEDU». La CEDU non inventi dunque diritti che non esistono nel nostro ordinamento giuridico, non pretenda di sostituirsi al legittimo e sovrano legislatore elvetico.