Le professioni più belle del mondo

Il tema del personale infermieristico - e in generale tutto quello sociale e sociosanitario - oberato dal lavoro è davvero preoccupante. Ha fatto bene Paolo Galli, nell’editoriale del 9 agosto, a segnalarci il film «Heldin» della regista svizzera Petra Volpe.
Il dramma dell’infermiera rimasta sola a rispondere alle necessità dei pazienti di un reparto di chirurgia oncologica è una situazione di finzione che tuttavia si inserisce bene nella nostra realtà, quella umana (la fatica, la frustrazione, l’esasperazione, l’errore) e quella sociale (la qualità del sistema sanitario e la sicurezza dei pazienti). Tutte e tutti l’abbiamo sperimentato direttamente o tramite l’esperienza di un nostro caro: l’attitudine professionale e umana delle persone che si prendono cura di noi per mestiere è fondamentale. In ospedale, in ambito ambulatoriale come pure al nostro domicilio. Ma anche in casa per anziani, nelle strutture per persone con disabilità, nel settore sociopsichiatrico, nei servizi di protezione dei minorenni, negli asili nido e nei servizi di consulenza sociale.
Certo, la personalità, la motivazione e l’etica professionale del singolo curante è imprescindibile, ma si tratta di persone ben formate e che soprattutto hanno scelto di dedicare la vita professionale e non solo all’aiutare il prossimo. Per questo, ritengo che queste siano le professioni più belle del mondo. Quei mestieri che permettono alla sera di dirti che le fatiche e le soddisfazioni quotidiane sono servite per una buona causa. Una sensazione bellissima.
Il film e l’editorialista ci ricordano però il «peso del contesto». Un contesto che sta rendendo sempre più difficile vivere serenamente queste professioni: non c’è niente di più devastante che capire di non avere i mezzi, il tempo e le risorse per fare bene il proprio lavoro. Essere costretti a lavorare male quando ci si occupa di persone.
«Non ci sono più soldi». «Non possiamo rispondere a tutti i bisogni della società». «Bisogna tagliare». Le finanze pubbliche sono state pesantemente fragilizzate. Il sistema iniquo dei premi di cassa malati uguali per tutti ha reso finanziariamente insostenibile il sistema LaMal se non interveniamo con coraggiosi e urgenti decisioni a livello federale e cantonale.
Questo contesto politico ed economico pesa eccome su queste professioni e di riflesso sulla qualità delle cure. E non è nemmeno più credibile continuare a investire nella formazione in questi ambiti, dire ai nostri giovani che sono importanti e bei mestieri e allo stesso tempo essere costretti a parlare di condizioni di lavoro difficili, stress, frustrazione, mancanza di mezzi finanziari per fare bene il proprio lavoro. Giovani e famiglie tirano inevitabilmente le proprie conclusioni.
Lo affermo però con forza e convinzione: oggi è possibile lavorare nei settori sanitari e sociali bene e con grandi soddisfazioni, l’errore dovuto alla fatica non è la regola e nemmeno la prospettiva. Ma fino a che punto siamo disposti a rischiare che lo diventi? Fino a che punto siamo disposti a rinunciare a una sanità e un sistema di sicurezza sociale efficaci?