L'opinione

«Ma qui si tratta di genocidio»

L'opinione di Franco Cavalli, medico, e la risposta del direttore Paride Pelli
Red. Online
13.08.2025 06:00

L'opinione di Franco Cavalli, medico

Egregio Direttore, il suo editoriale «Su Gaza lasciar parlare i contenuti» dell’11 agosto mi ha turbato. Inizialmente, lei riconosce il diritto dei festival ad occuparsi di problemi politici, sottolinea che nel programma i film sul Medio Oriente sono bilanciati e addirittura suggerisce una rassegna dedicata a Gaza e alla Cisgiordania (qui manca forse «Territori occupati»). Poi cala, però, la saracinesca, talora in modo subliminale (le parole sono macigni!), talora in modo esplicito, come quando paventa che «certi endorsement extra-programma» rischiano di trasformare Locarno in un festival «di Gaza» e non «del cinema». Ciò che potrebbe (ahi ahi) far storcere il naso agli sponsor. Cito una sola inesattezza: riferendosi alla commovente manifestazione della Piazza in piedi per due minuti ricordando le stragi a Gaza, parla di «cartoline con l’immagine delle vittime dei massacri», mentre erano cartoline bianche segnate di rosso, colore del sangue. Lei parla sì «di catastrofe umanitaria» e di «immane tragedia», ma quasi si trattasse di uno tsunami di cui nessuno porta la responsabilità. Invece siamo di fronte al peggior genocidio del XXI secolo: già nel gennaio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja nel suo giudizio preliminare aveva ritenuto «plausibile» l’accusa di genocidio, ordinando misure cautelari, riproposte in seguito più volte e sempre disattese dal governo di Benjamin Netanyahu. Da allora, la situazione è molto peggiorata e sono aumentate le dichiarazioni genocidarie di ministri israeliani, elemento chiave nella definizione di genocidio (1948, ONU).

Ben 3 articoli scientifici occidentali, di cui due pubblicati sulla autorevole rivista medica «Lancet» (febbraio 2025), dimostrano che le cifre delle vittime fornite dalle autorità di Gaza sono perlomeno del 50-60% inferiori alla realtà: non considerano le migliaia di morti sepolti sotto le macerie, né i morti di fame e di sete (da mesi usate come strategia militare da Israele) o per mancanza di cure mediche, dato che gran parte degli ospedali è stata distrutta e molti medici uccisi. È quindi realistico ammettere che le vittime sono ormai ben più di 100.000. L’armata israeliana, sin qui, ha ucciso più di 230 giornalisti, il peggior massacro di suoi colleghi nella storia dell’umanità. È molto probabile che il giudizio finale, che richiede tempo, della Corte dell’Aja confermerà la condanna per genocidio, fatto che viene già riconosciuto dalle organizzazioni internazionali presenti, da molte ONG (Amnesty International in primis), da quasi tutti gli esperti di genocidio e ora, addirittura, da intellettuali israeliani moderati come David Grossman.

Il suo editoriale termina mettendo in guardia dal «diventare tifosi di Gaza». Un’espressione che mi ha fatto rabbrividire. Quanto avvenuto al festival è il risultato dell’attività di molte associazioni e di diversi appelli, tra cui quello partito da un gruppo di medici ticinesi, incluso il sottoscritto, e sostenuto poi dagli ex consiglieri federali Ruth Dreifuss e Joseph Deiss, che chiede l’apertura di un corridoio umanitario verso e da Gaza. Noi siamo sconvolti, avendo contatti con colleghi sul posto, da quanto sta succedendo, dall’estrema brutalità del genocidio e della pulizia etnica in corso in questa piccola striscia di terra. E tutto ciò in mondovisione, senza che chi potrebbe farlo cerchi di bloccare il governo apertamente razzista e criminale (sentenza CPI) di Netanyahu. Compreso il nostro Paese, che continua a commerciare anche in armi con Israele: già ora siamo eticamente corresponsabili del genocidio, potremmo diventarlo anche giuridicamente dopo la sentenza definitiva della Corte dell’Aja.

La risposta del direttore, Paride Pelli

Gentile professor Cavalli, ripercorra pure all’indietro l’ultimo anno di uscite del Corriere del Ticino. Gli editoriali di denuncia, anche a mia firma, usciti su queste colonne circa l’immane tragedia in corso nella Striscia di Gaza, i reportage dei nostri corrispondenti o inviati in Medio Oriente e i servizi pubblicati quotidianamente in diverse sezioni del nostro giornale sono davvero innumerevoli. Non ci siamo mai tirati indietro dal denunciare la situazione nella Striscia, rendendoci conto, purtroppo, che la risposta di Israele all’inenarrabile massacro del 7 ottobre 2023 si era presto fatta del tutto sproporzionata, che i civili ne stavano pagando duramente il prezzo, e che erano entrati in gioco altri obiettivi politici e militari.

Il discorso si fa obbligatoriamente diverso quando sul tavolo c’è il rapporto fra la tragedia dei palestinesi e il festival del cinema di Locarno. Qui entrano in gioco sensibilità diverse che vanno rispettate, poiché, al netto del dovere di denuncia, non si può (ed è controproducente) far dilagare la questione palestinese in ogni singolo evento culturale in programma in Svizzera e in Europa. Il motivo è semplice: il passo dalla denuncia alla politicizzazione è molto breve. Non è un mistero che la tragedia di Gaza venga oggi usata in tanti Paesi occidentali come leva per campagne politiche interne. Questo va evitato, per rispetto, ça va sans dire, degli stessi palestinesi. Riguardo al tema degli sponsor, sappiamo che essi sono essenziali per tenere in vita e sviluppare il festival, il principale evento culturale del Ticino. Non si tratta certo di censurarsi o di omettere doverose denunce, ma di tenere presente che la questione è complessa e che i torti, purtroppo, non sono tutti da una parte.   

In questo articolo:
Correlati
Su Gaza lasciar parlare i contenuti
Non conosciamo nessun festival del cinema di grandi o di medie dimensioni che ad ogni edizione non sia accompagnato da corroboranti polemiche: anche a questo giro Locarno sta facendo la sua parte