Detto tra noi

Un nuovo approccio alle stagioni

Il cambiamento climatico può essere anche il pretesto per modificare positivamente il nostro approccio alla natura.
Mauro Rossi
24.02.2023 06:00

Il calendario segnala che manca ormai meno di un mese all’inizio ufficiale della primavera e alla conclusione di un inverno che, a dire il vero, non è mai cominciato. A parte una spruzzatina di nevischio e qualche mattinata in cui ci siamo svegliati con i prati ricoperti da un fugace stato di brina, quello che dovrebbe essere il periodo più rigido dell’anno si è rivelato un’ininterrotta sequenza di giornate soleggiate e tiepide durante le quali, spesso, il cappotto si è rivelato un indumento ingombrante e superfluo. Una situazione che ormai non possiamo più considerare anomala: è un quinquennio che il copione si ripete pressoché identico tanto da costringerci, ormai, a rivedere sia il concetto di «stagione fredda» sia molte sue dinamiche. Come il rito della settimana bianca e della pratica sciistica in generale che, a causa dell’ormai cronica penuria di neve, si stanno trasformando in una forzatura resa possibile solo da un costosissimo impegno (in termini energetici e idrici) per creare artificiali strisce bianche che in modo quasi surreale risaltano tra alture brulle e secche. Ma anche, più semplicemente, la cura di giardini e piante che, non rispecchiando più i cicli naturali di qualche anno fa, ci obbliga a confrontarci con gemmature e fioriture inedite e dunque ad un differente approccio alla flora. L’inverno come «tradizionalmente» lo intendevamo, insomma, pare destinato al cassetto dei ricordi, almeno per un po’ di tempo. Già perché non è la prima volta che le nostre regioni si ritrovano in una situazione simile: leggevo in un libro dedicato alla storia del nostro Paese che nel XIV secolo l’arco alpino era ancora più caldo di oggi, tanto che ad altitudini superiori ai 2500 metri si coltivava la segale e che alcune aree ora occupate da neve (quasi) perenne erano anche durante i mesi invernali completamente sgombre dalla coltre bianca tanto da rappresentare delle importanti vie di transito. Vie che sono state poi abbandonate un paio di secoli dopo, quando una «mini glaciazione» ha disegnato quegli scenari climatico-naturali ai quali siamo abituati. Quello che stiamo vivendo, insomma, è uno scenario già sperimentato ma che, rispetto al passato si è ripresentato in modo più traumatico a causa degli abusi e degli incoscienti sfruttamenti della natura operati dall’uomo nell’ultimo secolo. Ai quali va posto rimedio affinché il futuro si riveli meno problematico. Non tanto per il pianeta – che esiste da prima dell’uomo e che riuscirà sicuramente a sopravvivere senza troppi problemi ad esso – ma per l’umanità. Alla quale, al momento, non resta che prendere atto di queste mutate situazioni e capitalizzarle al meglio, con razionalità , buon senso, senza inutili forzature ma anzi ponendosi nei confronti di questi nuovi scenari con uno spirito differente rispetto al passato. Ovvero senza voler piegare a tutti i costi la natura alle sue esigenze bensì adattandosi ad essa.