Detto tra noi

La malattia chiamata denaro

Elon Musk è l'uomo più ricco del mondo, ma che cosa c'è dietro simili accumuli di denaro?
Mauro Rossi
24.06.2022 06:00

Leggo da qualche parte che Elon Musk, attualmente l’uomo più ricco del mondo, ha un patrimonio di 240 miliardi di dollari. Che significa duecentoquarantamila milioni. Una cifra impressionante e difficilmente quantificabile visivamente. Per rendere l’idea diciamo che se la persona in questione - o chi per esso - dovesse recarsi all’Equatore e, camminando, depositare mille dollari ogni metro percorso, non gli basterebbero tre giri del mondo per esaurire il suo «malloppo».

Premesso di non credere che quelli di Musk e degli altri miliardari sul pianeta – oltre duemila secondo un’autorevole rivista – siano soldi «veri» bensì crediti concessi sulla base dei titoli economici o finanziari in loro possesso, mi chiedo cosa spinga una persona ad accumulare così tanto denaro. Non penso la voglia di trascorrere le giornate tra tutti gli agi possibili soddisfacendo il più arzigogolato capriccio o inseguendo ogni sogno, ancorché visionario. E neppure il desiderio di potere o di comprarsi l’immortalità: in tal caso, come gli straricchi del passato, fonderebbero nazioni, costruirebbero piramidi, città e altri manufatti in grado di tramandare il loro nome per millenni.

Ma allora cosa c’è dietro questi incredibili accumuli, sostanzialmente fini a se stessi se non addirittura dannosi per una società retta da precari equilibri che gli spostamenti di così grandi ricchezze rischia seriamente di compromettere? A mio personale avviso si tratta di una vera e propria malattia, che ti porta non solo a desiderare sempre più denaro ma anche a ricondurre e a sacrificare ogni cosa sul suo altare. Non è infatti un mistero che questi Paperoni spesso siano persone che lavorano duramente una quindicina di ore al giorno senza concedersi mai lunghe e spensierate vacanze; che, pur senza imitare la loro versione disneiana che riutilizza tre volte la medesima bustina di thé, siano estremamente parsimoniose e che sovente si ritrovino con vite affettive aride e prive di veri e disinteressati rapporti interpersonali. Persone malate e dunque, nella loro ricchezza, estremamente povere. In alcuni casi addirittura più povere di tanti che vivono nell’indigenza e che, pur costretti a fare salti mortali per mettere qualcosa in tavola, non sono così ostaggio di quella bramosia di accumulo in grado di privarle del piacere di godere di ogni cosa senza doverla obbligatoriamente monetizzare. Ecco perché al di là di una superficiale invidia nei loro confronti, non me la sento di guardare a loro come a degli obiettivi a dei punti di riferimento. Anzi, personalmente nutro un affetto molto più marcato nei confronti di chi con il denaro e la ricchezza ha un rapporto simile a quello del genialissimo ma sciagurato calciatore britannico George Best il quale candidamente ammetteva: «Il 90% di quello che ho guadagnato l’ho speso in donne, alcol e auto veloci. Il rimanente l’ho sperperato».