Detto tra noi

Menzogne e stupide falsità

La differenza tra mentire e diffondere falsità
Mauro Rossi
29.07.2022 06:00

Sfogliando una vecchia rivista mi sono imbattuto in una frase di Umberto Eco che recitava così: «Mentire non significa dire il falso. Significa dire una cosa che si sa essere falsa». Ovvero: se riferendo qualcosa o sostenendo una tesi non c’è la consapevolezza che la stessa sia falsa, non c’è menzogna e dunque non c’è responsabilità morale di ciò che si è fatto, al contrario invece di chi opera scientemente in tal modo.

Una distinzione che, a prima vista, può apparire sofistica ma che invece è fondamentale perché ci consente di riflettere su ciò che capita frequentemente nella vita quotidiana e – soprattutto in un’epoca dominata dalla diffusione delle informazioni attraverso Internet e dalla superficialità e la frettolosità che ne caratterizza l’uso – di individuare le responsabilità di chi, dopo avere coscientemente mentito, riesce a passare per gente che al limite ha detto delle cose non vere o che erano potenzialmente vere ma semplicemente, per una serie di ragioni, non si sono verificate.

Ragionamento questo che potremmo ricondurre ai più disparati ambiti. Quello politico è forse il primo che balza all’occhio, in cui si mente spesso spudoratamente pur di ottenere un ampio consenso e, in seguito, si avallano simili tesi per tifo, per affinità ideologiche o per semplice convenienza, senza prendersi la briga verificare la veridicità delle stesse. Ma potremmo fare moltissimi altri esempi, a partire da ciò che è accaduto durante il terribile biennio pandemico, durante il quale sono state diffuse notizie e tesi palesemente false che poi tanta gente, fidandosi in maniera cieca di chi le ha formulate, ha rilanciato senza mentire, perché nella gran parte dei casi non sapeva quale fosse la verità e si limitava a ripetere e a difendere, talora con piglio addirittura giacobino.

Ecco perché è necessaria una chiara distinzione tra chi mente e chi si limita a ripetere il falso, ossia ciò che gli viene fatto credere. Se infatti apparentemente, le due categorie fanno la stessa cosa, la differenza è enorme ed è più o meno quella che intercorre tra chi dovrebbe essere accusato di raggiro, per avere detto cose false con consapevolezza e che potrebbe essere imputato unicamente di ignoranza per essere stato vittima di quello stesso imbroglio.

Eppure questa distinzione non viene quasi mai fatta cosicché quando, alla fine, i nodi vengono al pettine (perché, presto o tardi, ciò accade sempre) i «cattivi maestri» riescono quasi sempre a cavarsela, scrollandosi di dosso i loro errori e le responsabilità a essi collegate, lasciando agli stupidi e agli ingenui che li hanno seguiti a testa bassa e con il paraocchi il compito di raccogliere i cocci delle loro menzogne.