Detto tra noi

Normalità vere e forzate

La definizione dell'aggettivo «normale» ultimamente è poco rispettata nell’utilizzo
Mauro Rossi
16.09.2022 06:00

«Le parole sono importanti!» urla in una scena epica del suo film Palombella rossa Nanni Moretti schiaffeggiando una giornalista che si rivolge a lui con frasi fatte, stereotipate. Una frase che – ovviamente senza essere accompagnata da una distribuzione di ceffoni – andrebbe gridata a pieni polmoni anche oggi, nell’era non solo dello sdoganamento del turpiloquio e della volgarità, ma anche degli assurdi e sgangherati linguaggi da social, degli slang poveri e banali nonché di un errato, fuorviante e tendenzioso uso della terminologia. Prendiamo l’aggettivo «normale». Stando al dizionario significa «conforme alla norma, che rispetta una regola», ovvero un qualcosa che, in quanto condiviso, accettato e riconosciuto da larghissima parte della popolazione, è ritenuto parte integrante della quotidianità. Una definizione che però ultimamente è poco rispettata nell’utilizzo di questo termine. Negli scorsi giorni, ad esempio, una nota attrice comica e, da qualche anno, maître à penser della tv italiana, replicando a un politico che criticava la presenza, in un disegno animato per bambini piccoli, di un personaggio con due mamme, ha pubblicamente sentenziato: «Oggi un bambino con due mamme è una cosa normale». No cara signora, un bambino con due mamme o con due papà, anche nell’anno di grazia 2022, non è una situazione che va definita «normale»: è possibile, lecita, accettabile, rispettabile, non discriminabile, ma è tutto fuorché normale in quanto al di fuori dei canoni di larghissima parte non solo dell’umanità ma della stessa componente animale del nostro pianeta. Così come non vanno definiti normali comportamenti, atteggiamenti, situazioni e fatti ai quali, in nome di un politically correct portato talora all’esasperazione o semplicemente nel tentativo di evitare delle ghettizzazioni, si pretende di dare una patente di normalità quando invece si tratta palesemente di un qualcosa di differente rispetto alla generale quotidianità. Una differenza che non va guardata in modo negativo e discriminante, che va accettata, tutelata, protetta proprio in quanto tale e in grado di portare arricchimento, esperienza e un diverso e fondamentale punto di vista sull’universo, ma che cercare di trasformare in «normale» è sbagliato, semanticamente e per gli effetti che può produrre. Ossia generare confusione specie in chi non ha sviluppato una chiara capacità di discernimento e che quindi rischia di ritrovarsi spaesato in questo gurgite vasto in cui sguazza tutto e il contrario di tutto e alimentare quelle divisioni che pretenderebbe di eliminare ma che, invece, forzando e falsando la realtà, si rischia di accentuare, generando contrasti e conflitti che in una «normale» società del terzo millennio non dovrebbero esistere.