Detto tra noi

Quel laico rituale della tv pre-serale

Come i telequiz possono diventare metafora della provvidenza divina
Mauro Rossi
17.02.2023 06:00

È un rituale al quale chiunque accenda il televisore, soprattutto negli orari attorno alla cena, non riesce a sottrarsi in quanto comune a pressoché tutte le reti televisive:il telequiz. Ce ne sono infatti di tutti i formati, da quelli più stupidi a quelli più intelligenti, da quelli circondati da un impianto scenografico scintillante e quasi circense a quelli che si svolgono in studi semplici in modo che l’attenzione si focalizzi esclusivamente sulla sfida in atto. Che, personalmente, più che un confronto mi dà l’impressione di essere una sorta di messa laica dei nostri tempi in cui al cospetto di una divinità (la televisione, appunto), una serie di fedeli (i telespettatori ma anche il pubblico in studio) osserva uno di loro sottoporsi ad un rituale (il quiz) officiato da un celebrante (il conduttore, che non manca quasi mai di un’aria ispirata come si conviene ad ogni ministro di culto) nella speranza di essere toccato dalla grazia in modo che i desideri coltivati nel profondo dell’animo e che l’hanno spinto a sottoporsi a quella prova – che vanno dal denaro necessario per rinnovare il salotto a quello per una vacanza in un luogo esotico fino, nel caso le cose andassero davvero bene, alla somma necessaria per una nuova abitazione:tutte aspirazioni che il celebrante, per aumentare il pathos, spinge a confessare pubblicamente prima dell’inizio della prova – possano magicamente realizzarsi. Una speranza un po’ ingenua non molto dissimile da quella che avevamo da piccoli quando, prima di coricarci, recitavamo le preghierine nelle quali auspicavamo un intervento divino a nostro favore, ma anche della famiglia, di amici e parenti, a volte addirittura del mondo intero, come se qualunque evento felice non avesse che da piovere dall’alto. Ed è quel tipo di desiderio che, spesso, mi capita di cogliere tra i concorrenti di questi giochi specie quando, in uno stato quasi ipnotico, li vedo affidarsi quasi ciecamente alla sorte, rischiando cifre che lavorando non guadagnerebbero in svariati anni, con la speranza di poterli in un istante raddoppiare e trasformare i propri sogni in realtà. Poi però, quasi sempre, questo alone magico svanisce perché, come dalle divinità tradizionali, anche da quelle catodiche la grazia poche volte viene concessa: a quel punto il presentatore-officiante assume un’aria di circostanza, il concorrente si allontana come un penitente deluso, chiedendosi in cuor suo in che cosa possa aver sbagliato, in pensieri parole e opere, per vedersi respinto dalla buona sorte e un istante dopo sparisce nell’ombra salutato da un applauso di commiato che lo restituisce alla sua realtà nella quale, dopo quell’attimo di illuminazione, purtroppo gli toccherà rientrare.