Detto tra noi

Quella sana e salutare irriverenza

Oggi basta una parola di troppo, un accenno anche solo vagamente scherzoso o ironico su qualsiasi argomento o una considerazione che si discosta da un rigido e asettico «mainstream», per ritrovarsi alla berlina se non addirittura criminalizzato.
Mauro Rossi
20.04.2022 06:00

«Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi» recita un proverbio che, in passato, veniva usato per ammonire chi aveva l’abitudine di non avere riguardi nel ridere di tutto e tutti. Un’operazione che, si rammentava, era «salutare» svolgere solo in contesti e situazioni «leggere», evitando di toccare argomenti e personaggi «potenti» la cui suscettibilità poteva causare guai seri a chi aveva l’ardire di affrontarli con scherno. E si trattava, tutto sommato, di un’esortazione dettata dal buonsenso benché in netto contrasto con i principi dell’umorismo, dell’ironia e, soprattutto, della satira che, proprio trattando provocatoriamente ogni tematica, semina dubbi, smaschera le ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione le convinzioni generali.

Oggi, tuttavia, quel vecchio proverbio, alla stregua di molti altri detti popolari, sembra aver perso validità. E non poiché in nome del progresso, l’umorismo e la satira sono stati definitivamente sdoganati e dunque la prudenza che propugnava è diventata obsoleta. Al contrario, perché in nome dell’esasperato ed esagerato «politically correct» imperante nella società occidentale, tale proverbio appare fin troppo anarchico: non solo sui «santi» di ogni genere oggi sembra essere vietato scherzare, ma pure su ogni categoria di «fanti» in modo da non incappare in isteriche e sdegnate reazioni provenienti da ogni dove che in un’epoca totalmente in balia di «tweet», «post», «story» e «tag» possono avere tragiche conseguenze. Oggi basta infatti una parola di troppo, un accenno anche solo vagamente scherzoso o ironico su qualsiasi argomento o una considerazione che si discosta da un rigido e asettico «mainstream», per ritrovarsi alla berlina se non addirittura criminalizzato. Una battuta su presunti orientamenti sessuali (non dico di quelle triviali ed esecrabili in stile caserma anni Sessanta, ma anche una leggera ed elegante alla Vizietto - una meravigliosa commedia che oggi, con l’aria che tira, non sarebbe probabilmente più possibile né realizzare né distribuire) è in grado di rovinare una carriera così come l’uso di determinati termini per identificare delle categorie di persone può provocare un autentico linciaggio mediatico e sociale. Parlare, esprimersi, ironizzare, cercare di sdrammatizzare utilizzando le armi dell’ironia e dello humour sembra insomma essere diventato un compito decisamente improbo, molto più che in secoli storicamente definiti «bui» ma, in realtà, molto meno soggetti alla censura rispetto al dilagante neo-puritanesimo occidentale che può contare su mezzi molto più potenti ed efficaci per zittire ogni voce discordante dei tragici roghi che un tempo venivano allestiti per i libri e i loro autori. Ed è una considerazione molto amara, specie considerando che, nella storia umana, i momenti di maggior crescita intellettuale e sociale sono stati proprio quelli in cui si è potuto ridere con irriverenza di tutto e di tutti.