L'intervista

Il costo del pane: viaggio tra storia, economia e simboli

Dal pane più antico risalente al 3.500 a.C. ai filoni precotti, ecco come sta cambiando il mondo della panificazione
Martina Ravioli
24.03.2022 06:00

La strada del pane è lunga quasi quanto quella dell’umanità e questo alimento si è arricchito, nei secoli, di significati simbolici che risuonano ancora oggi forti e chiari: pane come simbolo di vita, come unione, come eucaristia. La prima panetteria svizzera di cui si abbia traccia risale al 623. Attorno all’anno 1000 hanno iniziato a formarsi le corporazioni di panettieri e, oggi, l’importanza dell’approvvigionamento di cereali e farina è addirittura iscritta nella Costituzione. La Svizzera vanta oltre 200 tipi diversi di pane e molti sono legati a tradizioni e feste: la corona dei Re Magi, le pagnotte benedette nelle sagre popolari, il tradizionale regalo di pane e sale per inaugurare una casa nuova. Non è forse un caso, quindi, che episodi come l’incendio del Mulino di Maroggia, che si spera possa tornare in attività entro l’estate del 2023, feriscano e suggestionino. Il pane è cultura e come tale fa parte di noi, ma è anche bene fondamentale di consumo e attore economico di primaria importanza per sfamare popoli e garantire posti di lavoro. Ma come sta cambiando il panorama ticinese dei prodotti da forno? Quale l’impatto sulla quotidianità e l’economia? Per rispondere abbiamo intervistato Massimo Turuani, presidente della Società Mastri Panettieri-Pasticcieri-Confettieri del Cantone Ticino e Mesolcina

Il pane come elemento fondante della nostra alimentazione e della nostra cultura. Quali e quante figure professionali ruotano attorno alla panificazione? 
«Si parte sempre dalla produzione cerealicola e quindi dal ruolo dell’agricoltore. Vi è poi il trasporto, su gomma o rotaia, verso i mulini dove avviene la macinazione. In Ticino l’unico mulino commerciale è quello di Maroggia, ora inagibile a causa del terribile incendio. L’approvvigionamento di farina è però garantito grazie a delle sinergie con un mulino d’oltre Gottardo. Per quanto riguarda la figura del panettiere, a fine 2021, la nostra Società contava 48 iscritti, di cui 46 in Ticino e 2 in Mesolcina. Vi è poi un’ulteriore decina di attività non iscritte all’associazione».

La Società Mastri Panettieri-Pasticcieri-Confettieri del Cantone Ticino e Mesolcina esiste dal 1917. Come è cambiata negli anni? Quali sono gli obiettivi che persegue ad oggi?
«La Società è nata in piena Prima Guerra Mondiale. Basti pensare che proprio nel 1917 il Parlamento federale stabilì il prezzo massimo del pane, monopolizzò l’importazione dei cereali e vietò la vendita di pane fresco, cioè prodotto da meno di 24 ore. Quest’ultimo provvedimento fu riattivato anche durante il secondo conflitto mondiale così da garantire che la produzione riuscisse ad avere sempre dei contingenti di farina ‘d’emergenza’. In seguito, per decenni, il primo compito della Società è stato quello di entrare in discussione con i sindacati fino ad arrivare al contratto collettivo che oggi tutela tutta la categoria. Attualmente i nostri principali obiettivi sono due. Da una parte sostenere la formazione dei giovani e supportare le panetterie che offrono la possibilità di svolgere l’apprendistato. Non è un caso, infatti, che nel nome della società compaia la parola ‘mastro’ cioè colui che già nel Medioevo ‘teneva bottega’, conosceva il mestiere e lo tramandava. D’altro canto, vogliamo porci come ponte tra il mondo economico e commerciale e quello politico per portare all’attenzione delle istituzioni necessità e problematiche della categoria».

Un lavoro duro e svolto per gran parte di notte quello del panettiere. È difficile trovare personale specializzato? I giovani vogliono ancora esercitare questa professione?
«Quando sono entrato in carica come presidente, il 1. aprile del 2000, avevamo 122 associati. Oggi sono 48. In vent’anni si sono più che dimezzati poiché sono cambiate le abitudini di consumo e il ruolo aggregativo del ‘forno’. Da questo punto di vista è quasi un bene che non troppi giovani vogliano intraprendere questa professione, altrimenti non avremmo posti d’apprendistato per tutti. In Ticino abbiamo una quarantina di apprendisti in formazione di cui quasi la metà sono ragazze e personalmente sono molto felice di quest’apertura di un mondo per troppo tempo solo maschile. Quando diamo i riconoscimenti ai migliori apprendisti due terzi vanno alle giovani, probabilmente perché mettono impegno, creatività, dedizione e una cura speciale nelle preparazioni. Potrei quasi dire che, senza nulla togliere ai ragazzi che ottengono risultati eccellenti, le giovani siano più perfezioniste. Chissà se tra qualche anno questo si rifletterà anche sulle titolari delle panetterie. Oggigiorno vi è una sola attività in Ticino di proprietà di una donna».

Il problema è che a livello nazionale non esistono leggi che bloccano l'importazione indiscriminata di pane e affini. Nei negozi troviamo prodotti che arrivano dalla Germania, dal Portogallo e dalla Polonia

Venendo all’aspetto economico: quale è l’impatto di questo settore sull’economia ticinese? 
«Il pane e i prodotti da forno sono alla base dell’alimentazione e muovono un mercato di dimensioni ragguardevoli. Il problema è che a livello nazionale non esistono leggi che bloccano l’importazione indiscriminata di ‘pane e affini’. Nei negozi troviamo prodotti che arrivano dalla Germania, dal Portogallo e dalla Polonia. Gli ultimi dati non falsati dalla pandemia risalgono al 2018. In un anno sono stati importati articoli panari, cioè pane, grissini, pane in cassetta, fette biscottate e via dicendo, per un valore complessivo di 400 milioni di franchi. Se tutti questi articoli venissero prodotti in Svizzera, avremmo 1.500 posti di lavoro in più».

Le cifre sono impressionanti. Oltre all’importazione massiccia, con quali altre difficoltà si trova confrontato il settore?
«Un errore sarebbe pensare che siamo penalizzati dal ‘turismo della spesa’ oltreconfine. Il fatto che molti ticinesi si rechino in Italia a fare la spesa è sicuramente un problema per diversi settori, prodotti di macelleria e caseari in primis, ma non tanto per noi. La panificazione è talmente diversa tra Italia e Svizzera che pochi si recano all’estero a comperare pane. Diverso è il discorso per i prodotti correlati, ad esempio i biscotti, ma in ogni caso non è questa una delle principali difficoltà. Il confronto è, semmai, proprio quello con la grande distribuzione in loco. Da un lato vengono venduti vari articoli importati, danneggiando l’economia indigena, dall’altro spesso si punta sul prodotto «precotto» che qualitativamente mi è difficile definire pane. Il vero pane è quello fragrante che quando si spezza o si taglia lascia le briciole sulla tovaglia, non quello gommoso e pallido venduto in sacchetti di plastica che necessitano delle forbici per essere aperti. Inoltre, si parla tanto delle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e del conseguente aumento di prezzo. In realtà il costo della farina, seppur in aumento di 7 o 8 franchi al quintale, incide in modo marginale sul prodotto finito e anche l’impatto sul consumatore è pressoché nullo. Attualmente, in Svizzera, l’approvvigionamento non dipende in alcun modo dall’Ucraina, quindi non dovrebbero verificarsi aumenti per la situazione internazionale. Da dopo la seconda guerra mondiale, infatti, siamo autonomi per il 75%, mentre il restante 25% di farina necessaria al fabbisogno, viene importato da Austria, Germania e, soprattutto per la farina Manitoba, dal Canada».

Grande distribuzione, abitudini di vita mutate, prodotti importati. Il pane ha ancora un valore simbolico e nutrizionale? Vi è ancora una vera «cultura del buon pane»? 
«La società cambia e con essa i consumi. Ovviamente non tutto il pane venduto dai supermercati è da condannare. Vi sono anche prodotti di discreta qualità. Inoltre, esistono sinergie tra panettieri e stazioni di servizio. In questo caso i panettieri forniscono ai benzinai pane fresco e affini per essere pronti all’apertura all’alba. Durante la giornata, però, le stazioni mettono in vendita il pane precotto, che fanno dorare direttamente sul posto. Questo succede nonostante appaia sempre esposto il cartello ‘pane fresco’: non è proprio così, è una definizione ingannevole. Il pane precotto, infatti, non è pane fresco anche perché la cottura è una sola: non esiste una pre e una post cottura. La ‘cultura del buon pane’ c’è ancora, ma dispiace molto vedere persone, soprattutto quando si tratta di anziani che hanno quindi conosciuto e apprezzato per molti anni il pane prodotto dai forni, essere soddisfatte dal consumo di queste tipologie di prodotto».

Nelle località discoste la bottega ha ancora una funzione di primaria importanza

Parlando di comunità: la panetteria ha ancora il ruolo di aggregatore sociale per una comunità, un quartiere o un paese?
«Sì, ma bisogna cercare fuori dai grossi centri urbani. Nelle località discoste la bottega ha ancora una funzione di primaria importanza, non solo economica, ma anche di richiamo, di collante per residenti e talvolta turisti. Succede, ad esempio ma non solo, a Maggia, a Intragna, a Verscio. Si tratta sempre di realtà di poche centinaia di abitanti, dove si dà ancora importanza alla dimensione sociale. Storicamente la figura del panettiere era quella che ogni giorno lasciava il pane nella bucalettere il cui scomparto, non a caso, viene chiamato ‘porta pane’».

C’è futuro per gli artigiani del pane?
«C’è, ma sarà un futuro di nicchia e bisogna specializzarsi su piccole produzioni di alta qualità. Un mastro fornaio che possiede il mestiere, che conosce il territorio e ama il suo lavoro ha ancora la possibilità di stare al mondo. Spesso, inoltre, si passa il mestiere di padre in figlio e molti sono i soci alla seconda o terza generazione di panettieri. In qualche caso siamo, addirittura, alla quinta generazione. Questo succede anche perché cedere l’attività è poco redditizio e la cosa migliore, spesso, è continuare la tradizione di famiglia».

Tradizione e modernità. Il cambio di abitudini alimentari che effetto ha avuto sul vostro lavoro?
«Quando mi chiedono come mai è diminuito il consumo di pane io rispondo sempre che è precipitato perché il Ticino non ha più i ‘muscoli’ a cui vendere la rosetta o la michetta. Dicendo questo intendo dire che non vi sono più, o quantomeno sono molto diminuiti, gli ‘operai di fatica’ sui cantieri. Erano loro ad essere il motore trainante dei consumi, avendo necessità di rifocillarsi durante le lunghe ore di lavoro. Oggi sono sempre più diffuse le mense, spesso con pasti preconfezionati, e anche l’operaio stesso è cambiato. Un tempo si trattava principalmente di migranti italiani che arrivavano in Ticino da Brescia, Bergamo, Cremona o dalla Valtellina e che mangiavano ‘pane e salame’ per tenere da parte più soldi possibile da mandare alla famiglia. Oggi anche gli operai fanno parte di una ‘cultura d’immagine’ e spesso, finito di lavorare, vanno in palestra. Il consumo di pane pro capite in Ticino fa fatica ad arrivare ai 100 grammi al giorno. È dunque facile capire che anche la produzione in termini quantitativi e di tipologie è molto cambiata. Diversi pani storici non ci sono più. Personalmente sto lottando per introdurre nelle mense aziendali i classici panini, come la rosetta, seppur in piccolo formato. Spesso, però, ci si scontra con una ristorazione che non dà al prodotto il giusto valore, anzi considera il cestino del pane solo come un costo, senza rispetto per la professionalità della nostra categoria. Da un punto di vista legato alle diverse esigenze alimentari noi non produciamo pane senza glutine poiché la sua lavorazione richiede un laboratorio separato. Per i celiaci, infatti, anche una piccola quantità di farina che entra in contatto con un alimento destinato al loro consumo, potrebbe essere problematica».

Se si vuole guardare al risparmio, è meglio prendere un buon prodotto che, se conservato in modo adeguato, è ottimo anche dopo due o tre giorni

Durante la pandemia in molti hanno provato a fare pane e prodotti da forno in casa. Si risparmia?
«Se consideriamo il costo delle materie prime, il consumo di energia e il tempo impiegato, non si risparmia di sicuro, ma dilettarsi con la panificazione come hobby è, sicuramente, un passatempo bello e arricchente. Se si vuole guardare al risparmio, però, è meglio prendere un buon prodotto che, se conservato in modo adeguato, è ottimo anche dopo 2 o 3 giorni. Sarà sufficiente passarlo in forno per 3 minuti a 180 gradi per fargli recuperare la friabilità della crosta. Inoltre, esistono molte ricette che permettono di riutilizzare il pane avanzato evitando così sprechi inutili».

Cosa succederà nel corso di quest’anno? Il settore riuscirà a far fronte ad un periodo di generalizzata incertezza?
«Le variabili sono molte e non è facile abbozzare una previsione. Di sicuro per noi il telelavoro è stato penalizzante poiché molte persone che avrebbero comprato pane, sono state invece a casa e questo calo nelle vendite lascia il segno. Posso però dire che come settore resistiamo bene. Ad esempio, a causa della pandemia, nel 2021 non c’è stato nessun associato che ha dovuto chiudere l’attività e non si segnalano neanche licenziamenti. Magari non sono stati sostituiti collaboratori che hanno raggiunto la pensione o si è dovuto abbassare le percentuali di lavoro, ma fortunatamente nessun impiego è stato perso, almeno nelle piccole attività. Diverso è il discorso nelle grandi aziende, ma si parla di numeri limitati».

Un’ultima domanda: come si fa a conciliare il lavoro di notte con la vita privata durante il giorno?
«Si può, ma bisogna organizzarsi molto bene. Il problema non è tanto lavorare di notte, quanto assolvere di giorno la vita sociale e gli impegni. Ad esempio, per me andare dal dentista alle 14 è paragonabile ad andarci alle 2 di notte per una persona che lavora di giorno. Difficilmente si riesce a dormire ininterrottamente per 8 ore filate e questo a lungo andare lascia il segno. Io, ad esempio, inizio a lavorare alle 4.30 e sono tra i fortunati. Molti colleghi, invece, lavorano tutta la notte, ma capita meno di un tempo poiché con le moderne tecnologie si riesce ad anticipare parte del lavoro al giorno prima e quindi a snellire o almeno velocizzare il lavoro notturno. In ogni caso, solitamente, dormo un po’ al pomeriggio e la sera vado a letto al più tardi alle 21. Il fisico non si abitua mai del tutto e il colpo di sonno può essere sempre dietro l’angolo. Anni fa, per questo motivo, ho avuto un brutto incidente che mi ha costretto in ospedale diversi mesi. Si deve amare tanto questo lavoro e quando si vede crescere l’impasto in forno è un po’ come affiancare la figlia all’altare: non si può abbandonarla a metà navata, ma va accompagnata fino in fondo. I ragazzi che scelgono questa professione devono sapere che non è un mestiere come gli altri, non è schematico, ci sono delle fasi di lavoro che devono essere tenute in pugno fino all’ultimo. Ci vuole passione. Io sono amante della musica e trovo spesso delle affinità con la panificazione. I ‘rumori’ del pane sono come delle Ouvertures rossiniane».

Turuani, grande appassionato di musica - è anche presidente dell’associazione «I solisti della Svizzera italiana» - conclude la nostra lunga chiacchierata con un aneddoto che gli è caro. «Fin da giovane ho capito l’importanza del pane nella nostra storia. Ho, infatti, appreso la leggenda del ‘fornaretto di Venezia’ che proprio per la massima cura verso il pane è stato condannato a morte. Infatti, se non avesse perso del prezioso tempo al momento di sfilarsi la cesta del pane che portava sulle spalle, preoccupandosi che nulla cadesse per terra, sicuramente avrebbe avuto modo di darsi alla fuga, così da non rischiare di essere accusato di assassinio. Infatti non fu lui a colpire a morte il nobiluomo veneziano che trovò riverso per terra. Ma le guardie, avendolo trovato accanto al cadavere, lo giudicarono colpevole. Il rispetto quasi religioso verso il pane lo portò quindi al patibolo di Piazza San Marco. Ecco, questo è l’episodio che più di ogni altro mi ha fatto capire, sin da ragazzino, l’importanza che il pane ha avuto durante la storia. Peccato che ai nostri giorni risultino essere sempre più introvabili valori come questi».

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