Detto tra noi

«Si potrebbe andare tutti quanti...»

Gli annunci funebri da noi sono appannaggio quasi totalmente dei giornali, mentre oltre confine vengono affissi ai muri
Mauro Rossi
14.04.2023 06:00

Passeggiata pomeridiana in un paesino a ridosso del confine, così simile ma, per certi versi, così diverso rispetto ai nostri. La frontiera modifica infatti determinate consuetudini che, pur a pochi metri di distanza, vengono vissute e gestite in modo completamente diverso. Come gli annunci funebri che da noi sono appannaggio quasi totalmente dei giornali, mentre oltre confine vengono affissi ai muri e sono dunque sotto gli occhi di tutti. Ed è stato proprio uno di questi annunci, durante la mia gita, ad aver colpito la mia attenzione. Per una ragione particolare: il «protagonista» portava infatti il mio stesso nome e cognome e, pure anagraficamente, non era molto distante dal sottoscritto. Una situazione strana, quasi surreale e per certi versi anche un po’ inquietante. Vedere declinate le tue generalità in un simile contesto è infatti un qualcosa che provoca un brivido freddo lungo la schiena e fa immediatamente scattare una ridda di pensieri, sentimenti, domande, riflessioni (oltre naturalmente a provocare qualche scaramantico gesto). Chi era questo mio quasi gemello? A parte il fatto che ci chiamavamo allo stesso modo e siamo nati nello stesso periodo, c’era qualcos’altro che ci accomunava? Che storia aveva alle spalle – familiare, professionale, affettiva, sociale – e chissà se le nostre strade, pur senza saperlo, si sono mai incontrate? Domande che mi hanno spinto a guardare l’annuncio con una certa attenzione mista a curiosità che però è stata quasi immediatamente sopraffatta da un’altra serie di quesiti. E se quell’annuncio, invece che legato ad una persona di cui ignoravo l’esistenza, fosse stato pubblicato per annunciare la mia scomparsa, cosa sarebbe accaduto? Sarebbero stati solo gli stretti parenti e la cerchia degli amici a rammaricarsi e a disperarsi, oppure ci sarebbe stata una eco più ampia? Si sarebbe parlato per un bel po’ del sottoscritto, ricordandolo, oppure l’evento sarebbe scivolato via avvolto in una patina di sostanziale indifferenza, al quale dedicare un fugace pensiero per poi proseguire oltre. E il mio definitivo commiato? Sarebbe stato un momento toccante, sentito, partecipato oppure – come cantava Jannacci nella sua Vengo anch’io – una cosa del tutto normale, di circostanza, dove «piangon soltanto le suore» e durante la quale gli astanti chiacchierano del più e del meno guardando l’orologio sperando di non perdere troppo tempo con quell’incombenza? Pensieri disordinati, frammentari che si sono susseguiti rapidamente nel giro di pochissimi istanti accompagnati da un po’ di preoccupazione ma anche da un velo di ironia. Che è, probabilmente, il sentimento giusto con il quale approcciarsi a simili situazioni. E questo perché, come osservava Boris Vian, in fin dei conti «La morte non è una cosa così tragica. Tant’è che tra cent’anni, ciascuno di noi non ci penserà più...».